Ancora Balcania

Testo

                                                                                                Gli astri intorno alla luna

                                                                                                bella

                                                                                                celano il chiaro viso

                                                                                                quando, colma di lume, più dilaga

                                                                                                sopra la terra.

 

 

                                                                                                Plenilunio – Saffo – 2600 anni fa

 

 

 

 

ANCORA BALCANIA

 

Eccomi di nuovo, ancora una volta più lesto di penna che di pedale. Doveva essere il viaggio ad inseguir la luna bella giù per tutta la Balcania interna e l'Ellade, da Durazzo al Mani, ma un altro imprevisto di questo sfigatissimo anno ha ritardato la partenza e modificato l’obiettivo. Sia sempre Balcania, ma da Spalato a casa passando per Trieste e, per evitare una banale risalita per la Jadranska Magistrala, ci sia un guizzo dal Turco a Mostar e passaggi per le isole dalmate che furono della Serenissima Repubblica. Parto con la mia venetitudine paterna. Mi sarà buon viatico?

 

 

1 giorno

Da Spalato a Imotski

Km 92 - dislivello + 1565 mt

 

Il traghetto Marko Polo della Jadrolinija mi scarica sulla banchina che non sono ancora le sette del mattino, parto subito verso sud per la bella costa adriatica piena di sole e di blu in una vorticosa girandola di sobe, apartmani, zimmer...La città di Almissa/Omiš mi colpisce, stretta tra mare e l'imponente cresta calcarea tagliata da una forra da cui esce il fiume, troppo ricco di acqua per essere mediterraneo. É un lampo, abbandono il mare e decido di risalire il Cetina. La polizia mi ferma, c’è una corsa a piedi a cui pare che partecipi tutta la gente del posto, aspetto ma poi mi fanno andare. Oltre la forra e alcune piccole gallerie trovo solo i podisti più lenti e una larga valle dalla vegetazione alpestre; la strada abbandona il fiume e sale con gentilissimi tornanti fino ad un paese arroccato al lato di un colle e poi guadagna di nuovo il letto fluviale in cui sono impegnati diversi gommoni pieni di turisti. All'altezza di una centrale elettrica il percorso si impenna improvviso fino ad immettersi sulla via principale che viene dal mare, sopra un ardito belvedere ventoso con tanto di crocefisso che sembra una salamandra sfuggente, prima del centro abitato di Zadvanje. Passo sotto l'autostrada, a Cista Povo viro decisamente a destra in continua debole salita fino al colle oltre e sotto il quale si apre il Polje di Imotski, una grande e piatta valle di origine carsica con tanto di laghi; all'inizio selvaggia e poi coltivata. Imotski era l'estremo lembo della Repubblica di Venezia, al confine con l'impero Turco; ci viveva una discreta popolazione italiana; oggi rimangono toponimi, alberghi e ristoranti con il nome di Venecija quasi a vagheggiare la capitale lontana, come Costantinopoli per la Grecia della Megali Idea.

 

 

2 giorno

Da Imotski a Mostar

Km 85 - dislivello + 825 mt

 

Per evitare una inutile salita e discesa della strada diretta per Mostar, ho pensato di prendere la via di Grude e poi, per stradine secondarie, attraversare il paese di Donji Mamici e ritornare sulla statale che conduce a Siroki Brijeg e a Mostar. Passo la frontiera e la cittadina di Grude ma la realtà stradale è diversa da quella della mia carta. Chiedo in giro e tutti mi dicono:

“Devi tornare indietro a Grude e lì al semaforo va verso destra.”

Ma sulla la mia carta quella strada porta a Gradac, fuori rotta. Insisto:

“Io devo andare a Donji Mamici.”

E loro:

“Da chi vai a Donji Mamici? Conosci qualcuno laggiù? A casa di chi ti fermi?”

Bene o male trovo una stradina asfaltata per il mitico paese di Donji Mamici ma vado avanti per una decina di chilometri e nulla fa presagire che lo debba incontrare, non c’è un cartello indicatore, ci sono decine di strade tutte uguali, case sparse, non paesi. Vado a naso e con la bussola del Garmin verso nord-est, è quella la direzione giusta. Ma il paesaggio si fa sempre più rupestre, l’asfalto finisce. Fermo una VW Golf e l’uomo mi dice che di lì si va a tutt’altra parte.

“Devi tornare indietro!”

esclama perentorio.

Torno indietro. Boh. Penso che la mia carta geografica (Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina 1:300.000 dello Studio FMB di Bologna) è un magone e che dentro il Garmin c’è solo la carta dell’Italia. Realizzo improvvisamente di essermi perso. Torno comunque indietro, annuso alcuni percorsi che portano nel nulla. Entro nel cortile di una casa, esce una signora anziana, le chiedo:

“Devo andare a Donji Mamici”

Lei mi sorprende:

“Qui è Donji Mamici!”

E intanto chiama il marito che mi conferma il fatto e poi mi traccia una carta di suo pugno su un foglio sopra il vetro posteriore dell’auto lì parcheggiata, si dilunga anche in precise e circostanziate spiegazioni nella sua lingua, che naturalmente non capisco, mi vede perplesso e alla fine esclama:

“Ti accompagno, seguimi!”

Loro vanno avanti e io trotterello dietro la loro VW Golf grigia targata BiH con la bici, in cima alle salite e ai bivi mi aspettano e mi sorridono, andiamo avanti per un po’ per stradine variamente asfaltate e variamente sassose fino ad un punto in cui lui scende dalla macchina, indica la direzione con il braccio teso e l’indice puntato:

“Ora non puoi sbagliare più, vai avanti per una kilometra e poi la strada si allarga e sei sulla via giusta”

È il momento dei commiati. Mi chiede:

“Sei inglese o francese o che?”

“Sono Italiano!”

Mi stringe vigorosamente la mano e con grandi pacche sulla spalle mi fa:

“Sretan Put! Taljane!”

“Hvala! Hvala!”

Vado, vado per una decina di km fino a che il percorso si fa ancora sassoso. Entro nuovamente dentro casa della gente, ci sono cinque bambini biondi che giocano, uno di loro va a chiamare la loro mamma che mi assicura:

“Si è la strada giusta, vai avanti ancora un poco e sarà di nuovo asfaltata troverai una chiesa e poi il bivio per la strada di Međugorje, che non devi prendere, continua in salita fino ad un distributore di benzina e quindi scendi giù nella valle fino a Siroki Brijeg.”

Non chiederò più indicazioni stradali, ma subito dopo la chiesa mi fermo per far passare la lunga fila di auto che vengono via dalla messa verso le loro abitazioni sparse nel territorio. Una coppia giovane si ferma e lei che non guida abbassa il finestrino e mi chiede:

“Ti serve qualcosa?"

“Sì grazie devo andare a Siroki Brijeg.”

Mi conferma con simpatia che la strada è giusta e che troverò addirittura dei cartelli stradali. Giungo finalmente a Shiroki Brieg e alla strada statale e quindi, dopo una modesta salita e una lunga e ventosa discesa, scendo como sparvero su Mostar.

Mostar è il ponte. Tutto confluisce sulle ripide scale di calcare bianco sopra la Neretva blu: il camminare della gente, i turisti, il cibo, gli odori dei ćevapčići sulle griglie, la merce, le idee. Tutto è racchiuso, compresso, unito entro le due torri di guardia. All'esterno dell'aura dello Stari Most l'incantesimo si rompe, di qua è ancora noi e di là è ancora loro, le agili eleganti linee dei minareti contro la orribile altissima freccia di cemento del campanile cattolico, obelisco pagano, della chiesa francescana di San Pietro e Paolo, di là ancora palazzi martoriati dal mortaio, di qua palazzi sgarrupati o in costruzione, ma le stesse bottegucce di ciarpame appendono le loro giovani commesse con jeans strappati e furbotelefono e altre con il velo e la parnanza. Si fronteggiano un cattolicesimo e un islam a pagamento, per turisti, a contendersi i biglietti per la moschea o per il campanile. Il centro antico è strapieno, stipato di cortei di gente di tutta Europa dietro al proprio portasegnale; per la maggior parte gitanti di Međugorje che si concedono un pomeriggio di islam oleografico e accessibile. La notte è un bellissimo silenzio, di luci e riflessi sulle pietre lucide e sul fiume; nessuno in giro per le strade acciottolate e tortuose e sopra gli atri piccoli ponti, nessuno dentro i ristoranti, spenta la musica e chiuse le bottegucce.

 

 

3 giorno

Da Mostar a Curzola-Korcula

Km 123 (108 in bici, 15 in nave) – dislivello + 924 mt

 

Parto presto per percorrere anche due tratti in battello per attraversare la penisola di Sabbioncello/Pelješac, e arrivare all’isola di Curzola. Il tratto iniziale, facile e veloce accanto alla Neretva, è anche con il vento a favore. Le gallerie, gli incroci scorrono via senza sussulti, ricordo un borgo fortificato in alto a sud della strada, i doppi cartelli stradali in latino e cirillico; la Bosnia Erzegovina è ulteriormente divisa in due stati: la Federacija Bosne i Hercegovine e la Република Српска (la Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina). Ma ciò che più si impadronisce del paesaggio sono gli sfacciati campanili cattolici. Oltre il confine con la Croazia il mondo cambia, Opuzen è già Adriatico e le strade sono piene di camper tedeschi e austriaci e di venditori di Originals Croatian Products. Ploce non è una meraviglia di posto, ma utile per arrivare a Tripanj con il traghetto Jadrolinija. Sabbioncello/Pelješac; è graziosamente invasa da vegetazione tropical, la strada sale ripida fino alla stretta cresta sommitale, a oriente isole e isole e mare azzurro. La discesa sulla vivace Orebic e la traversata fino a Domnice sono veloci. L’arrivo al centro urbano di Curzola è fantastico: sta scendendo appena la notte, le radenti ultime luci estraggono dalle rocce bianche delle costruzioni e dal rosso dei tetti dei colori irreali: il mare di un acceso azzurro perlaceo raccoglie la città, abbarbicata al promontorio, come un'ostrica con la sua perla, oltre il verde delle montagne di Sabbioncello/Pelješac e sopra tutto lo sfavillio giallo oro del cielo orientale appena straziato da cirri perlescenti.

E venne infine la luna bella di Saffo, non sopra l’oriente greco ma sul nero Adrio Mar, appena irretita e nascosta dalle pietre bianche, dal leone di pietra bianca e dal bianco campanile di San Marco.

L'idillio si ridimensiona, non per colpa del luogo, ma della gente (cinesi tamarrissimi, più che altro) che ancora, a fine settembre, lo gremisce senza preparazione ciavattando e urlando a falangi compatte dentro i lucidi vicoli pedonali e per le lucide scale.

 

 

4 giorno

Da Curzola-Korcula a Spalato-Split

Km 132 (50 in bici, 82 in nave) – dislivello + 821 mt

 

Curzola è forse l'isola più bella della Dalmazia, ma per il cicloviaggiatore è un'isola inutile. La strada che la percorre da est a ovest passa all'interno, incastrata in una valle chiusa, il mare non si vede che per pochi tratti ed è un continuo susseguirsi di velenosissime salite al 5, 7, 8 % e di gelide discese. È una noia mortale tra sassi e vegetazione spuria, fa eccezione la salita iniziale al 10 % che passa tra bei boschi di pini e con vista sulla costa verso Sabbioncello/Pelješac e Lumbarda e l'aereo colle a più di 500 metri dopo Pupnat. Anche l'arrivo a Vela Luka è improvviso e il mare lo vedo solo quando ci casco dentro. Rimpiango la scenografica cresta di Hvar da cui si scorgeva buona parte del Vasto Mondo. Il traghetto partirà solo alle 18, bighellono per i moli, compro la cena e il pranzo del giorno dopo, incontro tre ferocissimi, veri cicloviaggiatori scozzesi, con tenda e sacco a pelo e bici alla moda americana, che sguazzano felici nell'acqua dello specchio d'imbarco. Vengono dall'Albania e ancora prima da Stambul e tornano a casa. Ci vogliono tre ore di nave per Spalato ma sono in gran compagnia. L'ambiente è altamente socializzante con famigliole danesi, tedesche e inglesi con figli piccoli, il folto gruppo di pensionati francesi chiacchieroni che si raccontano addosso i loro precedenti viaggi al Marocco, alla Tunisia e alla Turchia, ragazzone del luogo con aria da vamp e donne in carriera che pigiano tasti dentro i loro pc, ma nessuno rimane nel suo, tutti parlano con tutti. Il centro di Spalato è una bellissima città. Ci vive ancora l'imperatore Diocleziano, il gran palazzo è ancora utilizzato dalla gente: ci si abita, ci si mangia, ci si suona. Entro le mura rettangolari, ancora ben salde, le antiche pietre imperiali rivivono in abitazioni, luoghi di incontro in continuo divenire. L'elegante peristilio diventa un teatro, il mausoleo la cattedrale, i vicoli dei negozi...

 

 

5 giorno

Da Spalato-Split a Sebenico-Sibenik

Km 91 – dislivello + 612 mt

 

Come al solito mi districo malamente dalle grandi città, sono aiutato in periferia da una buona pista ciclabile parallela al mortifero traffico, ma poi entro nella solita strada a quattro corsie con lo spartitraffico centrale, gli svincoli e i viadotti. Ne esco a Kastel-Sucurac per rientrare nella vecchia e cara Jadranska Magistrala a paesini di riviera che profumano di pane appena cotto, a semafori e passaggi a livello sulla ferrovia, fino a raggiungere l'incanto di Traù/Trogir. La città è perfettamente dosata tra mare blu, roccia bianca e tetti rossi, tra torri, mura merlate, finestre e balconi, tra palme che vibrano al vento e barche tremule sull'acqua. Oltre l'arco della Porta di Terraferma è veramente pedonale, bianca e lucida come le città di mare dell'Adriatico, in piazza gran sfavillio di doppie trifore, portici, la torre dell'orologio e la cattedrale di San Lorenzo che cela il suo favoloso portale con tutto il bestiario mitico del medio evo cristiano e fitte scene dei mesi che ruotano attorno ad Adamo ed Eva, al leone e alla leonessa. Pare di essere in Vecchia Castiglia o addirittura in Borgogna invece che nel Mediterraneo già orientale e turcheggiante. La gente di Sebenico la vede e vuole fare meglio e ci riesce, con immani sforzi di tempo e di denaro costruisce la sua cattedrale di San Giacomo, splendida icona di un rinascimento lineare e pulitissimo equidistante tra Toscana, Veneto, Lombardia e la Dalmazia bianca e rocciosa. Se sei sulla piazza è lei che ti osserva dalle sue 71 teste scolpite. Vista dall'alto sul mare blu è una nave che va verso occidente, vista dall'alto spande la sua grazia a tutta la città che, a mio avviso, è la città più magica di tutta la Dalmazia. Il tessuto di calli pavimentate e di scalinate si avviluppa attorno alle eleganti dimore di pietra; su per la collina, si aprono in piazze a porticati e si chiudono in vicoli e sottopassi, archi di roccia tra le roccia bianca del monte, le mura e il mare.

 

 

6 giorno

Da Sebenico-Sibenik a Petrcane (Zara-Zadar)

Km 119 – dislivello + 639

 

Era da tanto che non provavo una tale rapimento ed una così intima affinità con una città. Lascio a malincuore Sebenico proseguendo per la Obala tra le barche a vela ormeggiate e le case di pietra e le mura che, legate alla roccia della parete della costa arrivano direttamente al mare formando un unicum veramente singolare. Più avanti il braccio di mare che si insinua profondamente nella terra si assottiglia ancora e lo attraverso su un lungo panoramico ponte. La strada ora passa su uno stretto lembo di terra tra il mare e il lago di Vrana. Mi ritrovo ad ovest l'Adrio Mar del consueto azzurro intenso e ad est la superficie del lago di un attraente e inquietante cobalto lattescente. Zara è una grande città e non ha lo stampo slavo. È una città di mare ancora aperta verso l'altra parte dell'Adriatico. L'italianità si percepisce ancora e non solo per il gran leone di Venezia sopra la porta Terraferma, le strade e i palazzi della città vecchia, i tetti rossi, le persiane. C'è una aura nostrana palpabile e respirabile a dispetto dei fascismi italiano e croato, del gratuito e odioso bombardamento alleato del 1943, della pulizia etnica dei partigiani di Tito, delle deportazioni e della diaspora, del socialismo reale della Jugoslavia e del postmoderno ritorno della guerra venti anni fa. Sono ancora lì a farmi scuotere la memoria le Ulika. dr. Franje Tuđmana e le Ulika Marsala Tita. Ora che tutti parlano l'italiano dei turisti non mi è capitato quel che avvenne quando ancora per venire ci voleva il bollo sul passaporto, di rimanere tristemente colpito da un anziano signore che riconoscendomi italiano tra il mai sopito rimpianto e la mai sopita rabbia, mi chiese:

“Perché ci avete abbandonato qui? In mezzo a sti diauli?”

Non ho saputo rispondere trenta anni fa e non saprei rispondere nemmeno ora. Lascio la città vecchia un tantino intristito, dopo una lunga sosta su una panchina del vecchio foro romano a guardare il mare e le molte isole tra me e l'Italia. Percorro il ponte pedonale che unisce la penisola al resto del continente, mi trovo seguito da un folto gruppo di scalmanati, scortati dalla polizia, che suonano tamburi, scoppiano cariche e fumogeni e sventolano bandiere alla moda calcistica. Torno presto e male al contingente dell'immediato. Vado verso Nin, pittoresca e storica cittadina sulla costa a nord di Zara su un'isoletta rotonda tra mare, laguna e saline con due minuscole chiese bizantine: San Nicola del XI secolo di sei metri per sei metri e Santa Croce del IX secolo di otto metri per otto metri. Sono circa 20 km quasi tutti su un'ottima pista ciclabile.

 

 

7 giorno

Da Petrcane (Zara-Zadar) a Novaglia-Novalja

Km 86 – dislivello + 810 mt

 

Mi ero fermato in un ben strano posto. Un ex villaggio di pescatori convertito al turismo estivo, immerso nella pineta odorosa di fronte a centinaia di isole punteggiate di paesi luminosi, con il vezzo per l'acciaio inossidabile; tutto è di quel materiale: le panchine, i cestini dei rifiuti, i pali della illuminazione, le bitte e le strutture del porto, i cancelli, anche quelli privati. Sopra blandi dossi, raggiungo la costa orientale del penisolone di Zara e attraverso il Paski Most, lungo 250 metri, arrivo a Pago/Pag, non più isola, ma lungo e stretto lembo di fascinosa roccia lunare, sfrangiata da profonde insenature del mare, parallela alla terraferma. Il tratto iniziale è un basso cimitero di sassi bianchi: non un paese, una casa, nessuno, niente. Poi appaiono semplici borghi sulla costa, dalle dimesse velleità ricettive rispetto a tratti più blasonati. Più avanti, verso est si alzano costiere di cariate rocce giallo cromo sotto le nere cortine dei monti del continente. Le regine del sito sono le pecore e le capre che diventano onnipresenti agli occhi e al naso e miliardi di insetti più o meno correlati ai predetti ovini e il re è il Paski Sir il formaggio pecorino, reso singolare dal fatto che sull' introvabile erba che cresce tra i sassi si deposita il sale del mare portato dal vento del nord. Pago appare ancora arcaica e rurale, ma può capitare che sulla corte di una casa si fermi un'auto e scenda, tra le capre, una giovane donna elegante il cui profumo arriva fino al ciclista di passaggio.

“Dove andrà?”

La città di Pago è una sorpresa, in fondo alla stretta baia, tra le saline e il mare, ancora racchiusa nel suo tessuto pentagonale del XV secolo con le vie ortogonali e al centro la piazza con la pregevole cattedrale di Santa Maria e il palazzo ad eleganti bifore. Chiedo se per il ripido ponte pedonale si va a Novaglia.

“Si, sono 25 Kilometra, vai per il ponte, poi alla fine della lingua sabbiosa, vai a sinistra in salita, ma la salita è molto ripida, dovrai spingere la bicikla.”

Il percorso sale deciso e con un tornantone guadagna la sommità dell'isola. Da lì si ha una visione distorta verso il basso, il dislivello sarà forse di 200 metri ma Pago e le saline e il mare sembrano in fondo ad un pozzo lontanissimo. Segue la gran discesa sul mare occidentale e ancora una gran salita fino alla sommità centrale per poi scendere di nuovo verso il mare orientale, racchiuso in una baia azzurra da aridissime rocce giallo cromo. Novalja, in fondo ad un'altra baia aperta verso il nord dell'isola, appare più alla moda, mondana e cosmopolita. Trovo alloggio in un piccolo albergo del centro a conduzione familiare, la bicicletta la mettiamo direttamente dentro il ristorante, non darà molto fastidio, sono l'unico ospite, qui siamo finalmente fuori stagione.

 

 

8 giorno

Da Novaglia-Novalja a Segna-Senj

Km 88 (85 in bici, 3 in nave) – dislivello + 1847

 

L'albergatore me l'ha detto ieri sera e me lo ripete oggi:

“Pioverà molto ti conviene aspettare per un altro giorno qui da noi.”

E io, penso tra me con uno slancio di eroismo:

“E che sarà un poco d’acqua? E poi devo provare le nuove ghette.”

Lo ringrazio e gli rispondo che partirò comunque:

“Il bello del viaggio è viaggiare.”

Ho intenzione di abbandonare l’isola di Pago per la terraferma, poi più a nord ritornerò in isola a Arbe/Rab e quindi a Veglia/Krk e Cherso/Cres, più che cicloviaggiatore potrò essere “Mozzo di Jadrolinija”. Le strade sono bagnate dell'acqua notturna, esco da Novalja che ancora non piove, sul mare a occidente ribollono nuvoloni neri, sussultano in ovattati brontolii di lampi grigi. Devo percorrere solo otto chilometri per raggiungere l'imbarco di Zigljen, magari il tempaccio rimane laggiù a ovest. Invece è più veloce di me, arrivano le prime gocce grosse, rade, ma poi si mette a piovere copiosamente, vado comunque, sono venuto qui apposta, vado ma intanto viene giù una massa d'acqua impensabile, la strada si copre di una spessa lama mobile d'acqua.

“Non vale, accidenti!”

Le previsioni de “IlMeteo” avevano detto piogge moderate e invece sono qui, come un matto in bicicletta in un deserto di sassi e acqua. Spero di trovare all'imbarco un rifugio asciutto fino alla partenza del prossimo battello e invece c'è solo un piazzalone di asfalto e cemento coperto da un lago d'acqua fredda, il gabbiotto della biglietteria di Jadrolinija, una costruzione chiusa piena di antenne e telecamere e un baretto chiuso con il suo bel telo ombreggiante con sotto tavolini e sedie rovesciate. Faccio il mio bravo biglietto e chiedo:

“C'è un posto per evitare la pioggia?”

E lui:

“No! Ma devi aspettare solo una ora!”

Mi spalmo sottovento al muro del baretto e aspetto. Arrivano dei camperisti tedeschi che fanno il biglietto, passano, mi guardano come se fossi chissà chi e se ne vanno in fila, il diluvio non accenna a diminuire. Vado dal bigliettaio stagnato dentro il suo gabbiotto, busso, apre lo spioncino di vetro e gli chiedo:

“Mi fai aspettare lì dentro?”

E lui come del resto mi aspettavo mi dice:

“No non si può!”

Richiude lo spioncino, almeno ci ho provato. Jadrolinija mi ha tradito. Ritorno al mio posto.

“Una ora!”

Inizio ad avere freddo, devo mettermi qualcosa di lana, mi tolgo la giacca impermeabile e mi bagno di più, apro la borsa ed entra un mare d'acqua.

“Una ora!”

Arriva il traghetto, lo raggiungo a piedi, in terra ci sono quattro dita d'acqua, sul ponte uguale, se le ghette nuove funzionavano ora sono inutili, dato che l'acqua è entrata comunque dentro le scarpe. Il salone del piano superiore è asciutto e caldo ma la traversata dura solo 15 minuti. Devo scendere a Prizna ancora dentro la pioggia ma almeno la ripida salita a tornanti che guadagna la Magistrala mi scalda. Seguono lunghi e passabilissimi saliscendi e finalmente trovo il giusto equilibrio. Raggiungo il bivio per scendere al traghetto di Stinica per l’isola di Arbe/Rab ma arriverei tardi per i successivo battello per Veglia/Krk e poi ci sarà la domenica e dovrò fermarmi a Lopar.

“Jadrolinija mi ha tradito, non sarò più il suo mozzo!”

Tiro dritto per il continente, due ore dopo la pioggia cessa e viene anche il sole, mi fermo per il pranzo e stendo al sole i miei poveri panni sul guard rail. La strada si interna un poco, scende e sale fino a quota 400 metri, poi una gran discesa mi porta di nuovo al mare a Sveti Juraj e quindi, dopo aver passato il forte di Nehaj, arrivo infine a Segna-Senj, un tantino rude e costruita sopra una piccola baia. Per trovare una bifora veneziana ho dovuto faticare non poco dentro le stradine a intonaco scuro e umido della stari grad e anche l’albergo risulta retrocesso dagli antichi e segnati fasti. La mia permanenza serale rimane comunque catalizzata da un estroverso matrimonio, iniziato e finito con una tonante processione di auto e di gente cantante e musicante in tacchi alti e gonne nere. Saranno forse questi omoni in scarpe a punta e calzoni neri e camicie bianche, sbraitanti e sventolanti bandiere a scacchi bianchi e rossi croate, i discendenti dei pirati Uscocchi che qui avevano il loro temuto covo? Gli Uscocchi erano immigrati cristiani che alla fine del 1400 si rifugiarono sulla costa dall’interno, cacciati dall’avanzata dei turchi. Dapprima si resero famosi come gran soldati al servizio della cristianità, ma poi si misero in proprio e si fecero feroci pirati depredando tutti e tutto per troppo tempo, tanto che nel 1617, dopo un trattato tra Venezia e l’impero asburgico, furono deportati e le navi date alle fiamme. Il maestro della Konoba sembra proprio un pirata, con grandi orecchini e capelli lunghi legati a codino con tanto di crocchia. Invece è simpatico e mi gratifica con una gran bistecca e Karlovacko pivo d’ordinanza. Vado a dormire e sogno pirati con la casacca rossa, baffi come sciabole e sciabole come baffi, che abbordano la mia nave e giungono perfino sulle coste di casa mia, sono solo 100 miglia di distanza sopra l’Adrio Mar.

 

 

9 giorno

Da Segna-Senj a Abbazia-Opatija

Km 83 – dislivello 1470 mt

 

Mi aspetta il percorso che costeggia il perfido Canale del Maltempo, sotto il Velebit arcigno e selvaggio. Ho in memoria tanti racconti di viaggiatori che da queste parti, con le biciclette malamente spinte a mano e sollevate dalla buriana, incontrarono bestie selvagge. Cerco l'orso del Velebit, per farne una pagina seria di questo diario, ma: nisba, niet, nein. Ma è solo letteratura perché, come mi farà ricordare mia figlia poi:

“Ma babbo...

Se hai paura dei cani della Puglia e della Sicilia, cosa gli avresti raccontato all'orso del Velebit?”

Vado abbastanza rodato su e giù per la Magistrala, l’isola di Veglia/Krk si avvicina fino a scoprire il ponte che la unisce al continente e poi giù veloce fino a Porto Re/Kraljevica con il repentino inviluppo all’interno della baia di Buccari/Bakkar. Altro che la beffa del vate Rapagnetta:

“In onta alla cautissima flotta austriaca occupata a covare senza fine dentro i porti sicuri la gloriuzza di Lissa, sono venuti col ferro e col fuoco a scuotere la prudenza nel suo più comodo rifugio i marinai d'Italia, che si ridono d'ogni sorta di reti e di sbarre, pronti sempre a osare l'inosabile....”

Sono io a subire la beffa. Credevo di essere quasi arrivato, invece mi devo sorbire la lunga circumciclazione di tutta la baia e una salita, inaspettata e crudelissima, fino al promontorio sopra la raffineria per poi con una nuova lunga discesa arrivare a Fiume/Rieka. In città piove di nuovo, forse la pioggia non mi fa apprezzare la sua singolare aspetto equidistante dall’ottocento asburgico e ungherese, dal razionalismo socialista di Tito e dall’adriaticità levantina e aperta. Noto palazzi ingrigiti con decadenti e romantici bow-window in legno, grandi palazzi neoclassici. Non mi fermo, ho deciso di arrivare fino ad Abazia-Opatija. Se devo respirare l’imperial decadentismo è meglio che arrivi fino al suo estetico centro marittimo. La località divenne, alla fine del 800, luogo alla moda per svernare e per curare il mal sottile e altri mali di tanta nobiltà asburgica, ungherese. Vennero costruiti gran ville ed eleganti alberghi. La pioggia mi ha proprio stufato, penso di rifarmi con gli agi ed il lusso, vado d’istinto verso un hotel non grandissimo, dalla solida storia neoclassica, recentemente rinnovato e direttamente sul mare. Il maestro della receptja è gentile e parla un ottimo italiano. La bici non è un problema. La vedo portata via chissà dove dal ragazzo in divisa rossa sopra la moquette a pelo lungo color malva chiaro.

 

 

10 giorno

Da Abbazia-Opatija a Trieste

Km 79 – dislivello + 992 mt

 

La mattinata inizia in salita, costante e trafficata dai gran camion pieni di tronchi d’albero che, sbarcati a Fiume, vanno verso nord. Non è proprio una gran festa, la bicicletta è troppo pesante. Lascio il lasciabile: acqua, ne ho sempre troppa. Mangio il mangiabile: banane, arance almeno butto nel secchio le bucce, le mele no, non servirebbero a diminuire il peso totale. Dopo Matuliji migliora, dopo Mucici si va addirittura in discesa, il tratto peggiore è poco prima del confine con la Slovenia dove si raggiunge quota 624 metri. La fila al controllo di polizia è lenta, aspetto, un uomo, non della polizia ma comunque del governo croato è curioso del mio viaggio, del metallo, della marca e del peso della mia bicicletta. Alla fine mi chiede:

“Ti posso fare una foto? La faccio vedere a casa.”

“Prego maestro!”

In Slovenia si percorre, sopra un asfalto che mi aspettavo meglio, un boscoso vallone in leggera discesa e pianura tra prati a foraggio e paesi a mezza costa, con campanili che fanno, già, da subito, più Austria che Balcania. Cambia il paesaggio e la cultura, anche la lingua ma forse questa ultima è una ridicola forzatura: gostilna invece che gostionica, pension invece che pansion? Arriva poi il nostro tricolore e l’asfalto compatto e scuro dell'ANAS e la gran discesa fino al mare. Più che la parlata aperta e grassa di “Triesta” è la fragranza leggera erbacea e del malto e del lievito dolce della birra Forst che mi fa perdere quella lieve patina di slavitudine che la più rude Karlovacko mi aveva depositato.

 

 

Epilogo

 

Sono le otto del mattino, guardo di sotto dalla finestra, la piazza dell’Unità d’Italia è lucida di pioggia e picchiettata da milioni di gocce. Mi preparo lentamente per la partenza. Più tardi attraverso in bici la piazza fino allo spigolo del Palazzo del Governo, prendo il lungomare verso nord e penso che dovrò percorrere la SS 14 sotto la pioggia e dentro il traffico del martedì di camion e di schizzi di fango e penso che pioverà anche domani fino a Venezia. Passo il piazzale della stazione centrale che occhieggia tra alberi e gocce grigie. Vado avanti alcuni chilometri, infine torno indietro e mi rifugio nel ventre asciutto di Trenitalia fino a Senigallia.