Da Falconara a Roma per vie traverse
settembre 2009 - giorni 4 - Km   363

Quali sono le radici che s'afferrano, quali i rami che crescono
Da queste macerie di pietra? Figlio dell'uomo,
Tu non puoi dire, né immaginare, perché conosci soltanto
Un cumulo d'immagini infrante, dove batte il sole,
E l'albero morto non dà riparo, nessun conforto lo stridere del grillo,
L'arida pietra nessun suono d'acque.
C'è solo ombra sotto questa roccia rossa,

Thomas Stearns Eliot - The waste land - 1922

 


Prima tappa dalla foce dell’Esino  a Fabriano
Km 70

Viaggiare in bicicletta ci permette di guardare, udire, annusare lentamente il paesaggio, ci permette di sentire il territorio e di percepirlo da geografi, ci rende molto recettivi alle bellezze delle terre percorse ed estremamente sensibili al deperimento della bellezza e alle brutture. Tali estremi negativi rimangono segni indelebili nella nostra mente prima ancora che nel paesaggio.
Io abito davanti al mare orientale del Centro Italia. Il tratto di costa nei pressi della foce del fiume Esino è uno dei più tristi dell'Adriatico. Nello spazio di alcuni chilometri si è riuscito a mettere insieme una grande raffineria di petrolio puzzolente e sibilante, una centrale termoelettrica, una landa coperta da un agglomerato di capanne e case abusive ormai condonate, un poligono di tiro  dell'esercito e della marina militare, una grande, vecchia fabbrica chimica abbandonata, in mezzo alla terra rossa e ai rifiuti di se stessa. 
Ora una bella pista ciclabile sterrata, con tanto di ponte dedicato annesso, mi permette di fuggire da questa “Waste land” e  arrivare  fino a Chiaravalle, cittadina sensibile all'andare in bicicletta. Per piccole strade e percorsi ciclabili più o meno segnalati, a tratti molto belli, comodi e curati, a tratti un poco forzati; oltrepasso Jesi da sud e arrivo fino a Moie, dove, vicino alla interessante chiesa romanica, mi rifornisco di acqua. Da questo punto percorro la vecchia statale 76, che dopo la costruzione della strada veloce a quattro corsie è comunque tranquilla. Siamo nella zona del Verdicchio, grandissimo vino bianco del mio “terroir”. Si notano, principalmente a sud, dopo i  paesi di Castelbellino e Monteroberto, alcune curate vigne. Sulle colline più lontane e più alte si scorgono i contorni cuspidati di Cingoli e di Staffolo. Sulla destra, in cima a ripide colline si stagliano i paesi di Castelplanio, Rosora, Mergo. Poco dopo Serra S. Quirico, raccolta dentro le sue mura, inizia il tratto più interessante. La vecchia strada costeggia il fiume  Esino, serpeggia  dentro la Gola della Rossa, incassata nel calcare massiccio del Monte Murano e del Revellone. All'entrata della gola supero l'imbocco di una galleria  e una troppo grande cava di calcare, arrivo alle prime quinte di roccia dove, su storiche “vie”, si allenano da decenni gli arrampicatori delle Marche. Esco dalla gola e, superata la linea ferroviaria Ancona–Roma, attraverso dei piccoli borghi interessanti, se non altro per i nomi singolari: Pontechiaradovo, Falcioni, Camponocecchio e in alto sul crinale di destra il turrito borgo di Pierosara. La tappa è abbastanza breve e tranquilla, mi permetto una deviazione fino a San Vittore delle Chiuse dove ritrovo la bellissima abbazia romanica in mezzo al prato davanti al negozio di Evasio. Più avanti ci sono le potentissime Grotte di Frasassi nascoste dietro la parete ovest della gola scavata dal Fiume Sentino. Torno indietro e proseguo, sempre per la vecchia strada, ora più solitaria che mai, per altri borghi: Gattuccio, Valtreara, Trocchetti, Borgo Tufico e quindi Fabriano. 


Seconda tappa da Fabriano (AN)  a Foligno (PG)
Km 93

Esco dalla città lasciando sulla destra le vecchie cartiere, alla frazione di Cancelli piego a sud per una piccola valle fino al passo di Belvedere. Sul passo un ciclista in mountain bike, da lontano, mi fa “speak Italian?”.  Gli rispondo “E come dovrei parlare, abito a nemmeno ottanta chilometri da qui”.  E lui di rimando “Di solito quelli come te, con le borse attaccate alla bicicletta, sono tedeschi”. Facciamo un tratto di strada insieme passando per Belvedere e Campodonico, borghi lindi e pinti per la ricostruzione  dopo il terremoto del 1997-98. Mi convince a cambiare itinerario. Quello scelto da me prevedeva una stradina bianca, difficile anche per una bici da montagna. Al Bivio Ercole, incontrando la vecchia statale invece che salire verso il passo del Cornello e seguire la via che fece Carlo Magno nell'800 per andare a Roma a ricevere la corona imperiale dal papa, scendo verso est per Fiuminata fino a Pioraco, altro antico centro cartario delle Marche. Da lì ancora in solitaria ascesa fino a Sefro e quindi per il centro abitato di Sorti in salita seria fino agli interessantissimi Piani di Montelago, due conche carsiche poste su livelli diversi, a poco meno di 1000 meri di altezza e separati da una formazione rocciosa. Quella superiore era occupata da un lago che nel XV secolo venne fatto prosciugare dai Da Varano, signori di Camerino, con una taglio sulla formazione rocciosa. La conca inferiore smaltisce le acque attraverso canali e inghiottitoi. Il regime idrico, comunque intermittente, permette l’esistenza di una flora particolare e  rara. Non c'è nessuno in giro; supero il colle e scendo veloce fino a Capogna e Serravalle del Chienti, dove ritrovo un po' di traffico automobilistico, risalgo quindi attraverso una debole salita fino ai piani di Colfiorito: una grande conca carsica dell'Appennino centrale con una palude permanente e inghiottitoio annesso (Parco naturale regionale dell’Umbria). Nel centro abitato incontro due ciclisti con le bici da corsa, marito e moglie di Foligno. Mi fanno “Da dove vieni?”. Alla mia risposta,  sono un  poco delusi. “Ti avevamo preso per un tedesco o un olandese”. Ancora la solita storia. Dopo il valico la strada mi conduce attraverso una lunga, larga e veloce discesa, con una galleria, fino a Foligno.


Terza tappa da Foligno (PG) ad Amelia (TR)
Km 83

Dal centro storico lastricato esco lungo verso sud-ovest sulla pianura alluvionale. Poco dopo il  borgo di Casevecchie  inizia una bella pista ciclabile sull’argine del canale Teverone che mi conduce fino a sotto il colle di Trevi, per stradine zigzaganti arrivo a Bruna e quindi, su una strada provinciale più trafficata, a Spoleto di cui vedo solo la periferia industriale. Proseguo verso ovest per la piccola valle, a volte accanto alla ferrovia. Inizia la salita, poco dopo mi fermo per il pranzo. Mi siedo ad una delle sedie di plastica davanti ad un bar chiuso per ferie. Poco dopo, quando sto armeggiando ancora con una untuosissima scatola di sardine, arriva un signore anziano che vuole chiacchierare. É il babbo del proprietario del locale, in ferie, al mare con la famiglia.  Per prima cosa si affretta a dire che posso rimanere lì tranquillo. “E ndò vai fijo mio co sta bicicletta???”. La salita dalle parti di Firenzuola è abbastanza tosta, poco dopo arrivo alla cresta e di lì in bella discesa giungo ad Acquasparta. Mentre salgo piano verso il centro storico, una signora mi chiede una cosa che non capisco. Mi fermo per ascoltarla. Vuole sapere se è passata la sfilata delle macchine d’epoca.  Rispondo “Non lo so. Sono arrivato adesso” Le mie parole mi sembrano  ancora un tantino dissonanti dal contesto.
Più avanti passo sopra larghe ed alte colline, non entro in Montecastrilli e lungo la discesa perdo un catarifrangente della ruota anteriore (questa vecchia bici continua a perdere pezzi), poi per altri saliscendi arrivo alla interessantissima, antica città di Amelia, appiccata sopra la rupe dietro le sue possenti mura megalitiche. Dopo una cena esagerata con una grassissima amatriciana nel suo bel guanciale rosolato, mi perdo volutamente tra le tortuose stradine, scalinate, pertugi giustamente e amabilmente “sgarrupati”.


Quarta tappa da Amelia (TR) a Roma  
Km 120

Una lunga discesa mi fa arrivare al Tevere e ad  Orte. Continuo pedalando tranquillo tranquillo per la valle, alla destra del fiume che scende lento ad ampi meandri verso sud, fino a raggiungere la trafficata Flaminia. La lascio poco dopo. Ci sono tante strade che arrivano a Civita Castellana. 
Civita Castellana è grande, il centro è complesso, mi fermo per chiedere la strada per Nepi, non faccio in tempo nemmeno a togliermi il casco che due signori mi apostrofano in tono bonario. “Te sei perso!?!?” “Si!!!” Mi indicano il percorso che avevo pensato, quello per Castel S. Elia. “Quello più breve ma più tosto”, mi dicono.
La strada inizia dopo l'ospedale, va giù in discesa fino in fondo alla forra, quasi un buco scavato dal torrente  su tenero tufo ignimbritico del vulcano Viciano e poi su ancora in salita dura per uscirne fuori. “La strada è più breve ma è più dura”. Mai delle parole furono così vere.   Voglio passare per Castel S. Elia per la sua magnifica basilica romanica con influenze lombarde. A Nepi non mi fermo, non arriverei da nessuna parte se mi dovessi fermare ad ogni eccellenza della nostra terra. Ma Nepi per me è una sorpresa abbagliante, un luogo in cui sono stato poco tempo, o meglio un luogo in cui non sono stato e che ha creato il ricordo o le sensazioni di quello che non ho visto e sentito e vissuto. Tutto questo la chiamo “sindrome del marinaio di Pessoa”: Luoghi visti o non visti che creano aspettativa e amore per  se stessi e per altri luoghi non visti o non vissuti come si deve.
Ascolto ancora una volta quella voce di una notte di tanti anni fa nelle strade notturne di Lisboa.
“Non sai ancora che non c’è luogo qui che ti possa bastare. So o mar das outras terras é que é belo. Aquele que nos vemos da-nos sempre saudades daquele que nao veremos nunca...1  Ma quante volte giungendo in un luogo sconosciuto, magari per caso, lo hai scoperto e conosciuto come profondamente tuo e quale dolore hai provato per non averlo conosciuto prima, per non esserci andato già e quale dolore si rinnova ogni volta per l’aumentata consapevolezza che ci saranno sempre luoghi già profondamente tuoi che non potrai mai conoscere e vivere, quale dolore si rinnova per queste vite perse.”
Chiedo la strada intontito. Penso ad  altro... Il ragazzo mi dice: “dentro la Rocca Borgia, devi passà sotto la porta... Un'altra porta... e poi ce caschi dentro”
“Ce sò cascato dentro”. Una bellissima e solitaria strada mi porta verso sud. Poco dopo ricevo una telefonata da mio fratello, ciclista da corsa al carbonio, che vuole sapere dove sono arrivato. Mi fa “Nepi? Non so dov'è!!”. Proseguo bellamente fino alla Cassia che sono obbligato a risalire verso nord fino allo  svincolo più vicino. La strada è stata progettata così, tanto che non c’è nemmeno il divieto al transito delle biciclette. Quindi mi godo all’andata e al ritorno un tratto di veloce “autostrada” orridamente piena di buche. Finalmente a Sette Vene esco e verso ovest alcune strade più civili in leggera salita mi fanno raggiungere la cresta della caldera del vulcano Sabatino. Da lassù una liscia discesa mi conduce alla riva orientale del lago di Bracciano. Mi godo la tranquillità della riva fino ad Anguillara Sabazia, incontro una coppia di cicloviaggiatori, loro sì, probabilmente del nord Europa,  con  due biciclette di un bellissimo giallo “Thorn Nomad”.
Da Anguillara Sabazia a Roma non è un bel viaggiare. Il traffico è intenso, il paesaggio non è interessante: capannoni e costruzioni senza metafisica si allineano lungo la strada e debordano sulla campagna ondulata, senza un albero. Il massimo della devastazione lo trovo presso il centro abitato di Osteria Nuova. Immensi recinti con dentro gigantesche costruzioni di aspetto militar-segreto-governativo fanno il degno controcanto ad una collina interamente recintata altrettanto militar-segreto-governativa e coperta da decine e decine di mostruose antenne, alte oltre i cento metri, per le telecomunicazioni. Il luogo è orrendo, è un paesaggio di guerra. Scappo, inorridito, veloce per evitare di rimanere con ogni cellula polarizzata da quella pazzia elettromagnetica. Più avanti supero sulla sinistra  l'esclusivo comprensorio residenziale dell'Olgiata, che, non essendo né militare né segreto né governativo è comunque recintato, monitorato, controllato, sorvegliato “H24”.    
Alla Storta mi immetto sulla Cassia, oltre il Grande Raccordo Anulare, viaggiare diventa drammatico, il ciclista non è né previsto né prevedibile, non c'è, non lo vede nessuno. Proseguo in leggera discesa fino a confluire sulla Flaminia, ora lo stradone si chiama Corso di Francia e ha sei corsie divise da spartitraffico di metallo. Tutti vanno come matti, auto, camion, tante moto e motorini rumorosi e puzzolenti. Mi fermo, salgo sulle scalinate del ponte Flaminio come a salire il più in alto possibile, lontano da questa nuova “waste land”. Questo ponte sul Tevere, si doveva chiamare XXVIII Ottobre in memoria della marcia su Roma. Fu iniziato nel 1938, ma terminato nel 1951 e il fascistissimo nome non sarebbe più stato adeguato. Sono comunque rimasti molti segni della cultura fascista: colonne, cippi e aquile.
Subito dopo il ponte scendo sul lungotevere, finalmente tranquillo, passo ponte Milvio, tra me e il fiume una lunga teoria di campi da tennis fino al ministero della Marina Militare (Cosa ci facevo anni fa lì?), All'altezza del ponte Regina Margherita taglio a sinistra per piazza del Popolo, percorro la  quasi pedonale via del Corso fino a piazza Venezia. La salita per via Nazionale è il tratto più drammatico, mi salvo sul marciapiede, da piazza della Repubblica finalmente laggiù a destra  si vede la facciata della stazione Termini.