Ma da ndo vienghi con tutta sa robba?...
Que vai cercando? Ma perché non stai tranquillo a casa tua?

San Severino Marche 2011

 

...come ci impastano la bocca
queste piste di polvere per vent'anni o per cento
e come cambia per poco una sola voce nel coro del vento
ci si inginocchia su questo sagrato immenso
dell'altipiano barocco d'oriente
per orizzonte stelle basse
per orizzonte stelle basse
oppure niente
E non è rosa che cerchiamo non è rosa
e non è rosa o denaro e non è rosa
e non è amore o fortuna
e non è amore...

La pianta del tè – Ivano Fossati

 


IL GIRO DELL'ORTO

 

Un viaggio non progettato tra Marche e Umbria passando per Cingoli, San Severino Marche fino a Spoleto con ritorno attraverso i Monti Sibillini, Recanati, Loreto, la Riviera del Conero e Ancona. Viaggio attraverso il romanico delle Marche e la mia memoria.
Il risultato è un percorso oblungo e stretto giù per l'Italia, con l'andata parallela al ritorno. Sulla carta il tracciato non ha estetica ma è quello che mi è venuto.  E sì che una volta l'estetica del percorso era fondamentale. Che so, le vie di Emilio Comici o lo Spigolo Nord del Badile; quelli erano percorsi estetici. Anche la nordest del Monte Bove, nei Sibillini, era una via estetica, uno spigolo di 700 metri di dislivello.  Ci si andava per quello, anche se poi la roccia era marcia e la via non era sempre sullo spigolo ed era  una continua scarica di sassi grandi come le Fiat 126. Ci andavi da esteta e se rimanevi lì, ci rimanevi da esteta.

 

 

 

DA CASA A SAN SEVERINO MARCHE  87,00 KM


É molto presto, stranamente con un impeto di eroismo ho sedato il mostro della pigrizia e sono in giro nello scialbo mattino adriatico. Sono sulle solite pedalate:  la ciclabile fino a Chiaravalle, sontuosa con i suoi alberi di cachi e i cipressi e l'asfalto levigato, il ponte sul fiume Esino e il bifido giunto di metallo parallelo all'andare. Oltre il fiume la salita del cavalcavia dell'autostrada mi infastidisce. Che noia!  I primi dieci chilometri sono sempre così, ti viene voglia di tornare a casa e dormire.  La provinciale n 2 Sirolo-Senigallia è sempre la stessa, le stesse curve abbandonate, i cartelli. La valletta che sale verso Polverigi è sempre uguale, le stesse colline argillose, le case isolate sui crinali, le fabbriche di mobili. Vado avanti? Torno a casa? Dopo il distributore del latte crudo (ma non era una conquista la pastorizzazione? Che noia le nuove amenità dell'antico) inizia la salita. Lì deciderò se proseguire o tornare a casa. Che figura ci farei, con le borse armate e il palafreno bardato da alto combattimento? Ma non sarebbe nemmeno la prima volta. Giro la bici e... Ciao moglie sono di nuovo qua. Invece, vado avanti, nel paese la pendenza è minore, non c'é nessuno in giro, bighellono dentro il cerchio murato, bellino e mai visto in più di cinquantanni che sono qui. Accidenti!  Vai in capo al mondo nella valle dello Zanskar, in Himalaya  e non sei stato mai a Polverigi!
Dopo il paese la breve salita e la provinciale 4 per Santa Maria Nuova e Jesi mi fanno guadagnare la cresta. Sarà la discesa che segue o il sangue che finalmente si è deciso a scorrere seriamente nelle vene... mi sento che posso andare oltre.
Verso sud si aprono le porte della percezione. Il mondo che attraverso è nuovo, le colline acclivi di arenaria mi fanno dimenticare lo sbiadito mattino argilloso, le macchie verdissime di boschetti wilderness mi entusiasmano. Il percorso fino a Osimo è un trionfo. Non entro in città e la circumnavigo a ovest cantando fino allo sfinimento sui toni del finale della ottava sinfonia di Malher:

« Osimo é bello, Castello è segreto
Si voi i ladri va al Loreto
I malfidati a Recanati »

Segue la discesa anonima e urbana fino a Casette di Passatempo che già dal nome ingentilisce il percorso successivo su per la valletta del Fiumicello, affluente del Musone. Il percorso è amenissimo, non c'è traffico, qualche macchina parcheggiata a San Faustino dove i seri  marchigiani hanno voluto imitare la riviera romagnola con un acquafan nostrano.
La salita per  Cingoli è tostarella. Cingoli è un mio ricordo personale, ci sono venuto in villeggiatura  da piccolo. Una volta le vacanze erano così a 6o chilometri da casa e servivano a cambiare aria. La città è notevole: già municipio romano, a 600 metri di altezza, di caldi mattoni rosa dentro le sue mura e appena sotto i giardini pubblici la bella chiesa del XII secolo di Sant'Esuperanzio. Da Cingoli si vede, se il tempo è buono, quasi tutta la regione e il mare. La chiamano il Balcone delle Marche.  Cerco la casa dove sono stato tanti anni fa, sulla salita ripida per la pista di motocross. Era una delle ultime case del paese. Ora no, case nuove e gru la sopravanzano verso il monte.
La salita successiva è agevole tra piacevoli boschi fino alla breve galleria. Poi il mondo si allarga nella discesa verso sud in un paesaggio solitario e rarefatto di grandi spazi e remote montagne pelate, odoroso di erbe selvatiche e popolato da lontani rumori di motoseghe che fanno la legna per l'inverno e dal recondito lago artificiale sul Musone, su a nord, poco sotto il nostro Cervino (il monte San Vicino). Con qualche contro pendenza arrivo rapido alle porte di San Severino. Chiedo alla signora che staziona sull'uscio ad aspettare chissà chi con le mani ai fianchi e lo sguardo fisso verso la strada:

« Dove posso fermarmi a dormire? »

« Ma da ndo vienghi con tutta sa robba? »

Glielo dico e sembra sorpresa, forse addirittura contrariata.

« Con tutta s'attrezzi taccati alla bicicletta me pareva che dovevi veni chissà da dove, magari da uno de quei posti difficili da di' e invece sei marchigiano come me! Que vai cercando? Ma perché non stai tranquillo a casa tua?»

E sì i marchigiani sono gente tranquilla, stanno a casa loro, zitti zitti, addirittura un poco musoni e un poco misantropi. Appunto come la mia gentile vecchina.

 

DA SAN SEVERINO MARCHE A SPOLETO  105 KM


San  Severino è notevole. La parte bassa ha la ovale Piazza del Popolo e la chiesa di San Lorenzo in  Doliolo con la cripta che arriva dal VI secolo e gli affreschi che sembrano dipinti da bambini e con il campanile di laterizi che a me ricorda le torri mudejar di  Teruel in Aragona. Qualcuno mi potrà dire che la teoria è azzardata ma se l'arte della carta ai fabrianesi gliel'hanno insegnata i prigionieri mori relegati in queste valli nel medio evo, gli stessi potrebbero anche aver condizionato i nostri valligiani a fare le torri e i campanili.
La valle sale lenta, passa vicino ad un grande e grigio cementificio e cave e chiese introvabili fino a Castelraimondo più allargata e ariosa. Segue Pioraco, incastonata in una forra sul calcare e Fiuminata, sopra una conoide fluviale.
Alcuni cartelli ammoniscono:  Attenzione Caccia al Cinghiale. Addirittura ci sono i segnali triangolari di pericolo con tanto di lampeggiatori fotovoltaici, proprio se non li vuoi vedere: Animali Selvatici. Non è raro che ti saltino sulla strada così di soppiatto facendo Banzai dal greppo. Subiscono seri danni le auto, pensa il povero ciclista! E se non produci la prova con il cinghiale morto la Regione Marche non ti risarcisce il danno. Paese che vai pericolo che trovi: in Puglia e Basilicata i cani, da noi i cinghiali.
A Bivio Ercole la valle si stringe e la salita è più seria fino al Passo del Cornello che fa da spartiacque tra le Marche e l'Umbria. A Bagnara fontane e sorgenti di acqua minerale in ogni luogo, giro a sinistra per una strada brecciata che sale fino alla larga sella di Colle Croce. Oltre, ad ovest del monte Pennino, si apre una larga valle che porta fino ad Annifo ed al  piano di Colfiorito. Il luogo è fiabescamente aperto, fresco e luminoso, sembra di essere in qualche altopiano barocco d'oriente più che dietro l'orto di casa.
Dopo il passo di Colfiorito scendo verso Foligno, ma a Case Nove abbandono la veloce e larga statale per una provinciale più consona alla bici. Evito una nuova galleria e proseguo verso sud per un percorso che si imbosca in leggera salita tra torrenti ricchi di acqua e verdi prati. La strada dovrebbe condurmi a Sellano, ma più avanti, dopo Rasiglia, a naso la abbandono per una più piccola, dall'asfalto granuloso, che guadagna l'occidente ancora più silenziosa e solitaria.
Non so dove sono, la strada si stringe ancora, in mezzo inizia a crescere erbetta verde. Proseguirà o no? Ad un gruppo di case trovo tre signore sedute sul portico a godersi il pomeriggio, hanno i capelli bianchissimi tutte tre. Una di loro, con un asciugamano rosa sulle spalle, si sta asciugando i capelli al sole, come ai vecchi tempi. Un poco stupidamente chiedo:

« Ma questa strada va avanti, arriva da qualche parte?  »

Una delle signore mi risponde:

« Bisogna che sai dove voi andà.»

Perfetta lezione. Piglio, incarto e porto a casa.

« A Spoleto.»

« Sì questa strada arriva a Spoleto, basta che vai sempre dritto e ce caschi dentro. »

Ancora una volta come in alto Lazio, a richieste di indicazioni poco ragionate la stessa risposta:

« Ce caschi dentro. »

Vado avanti con la lezione appresa in salita fino a Vene e al passo. Da lì una ruzzolata di  600 metri di dislivello passando per le poche case di Spina Vecchia e Spina Nuova mi porta alla piana del Clitunno e quindi a Spoleto.


DA SPOLETO A CASTELLUCCIO DI NORCIA       Km 70                 


Da Spoleto, per raggiungere la valle del fiume Nera, la strada vecchia passa per il passo della Forca del Cerro: salite fino a crepare. L'ho fatta con la Vespa GS 160, che andava con la miscela al 5%, assieme a Mauro ai tempi del liceo. L'alternativa sarebbe andare a Terni per la Flaminia e risalire la valle. Il percorso è apprezzabile e vario ma trafficato, specie la Flaminia, e dovrei fare circa 70 chilometri più o meno a vanvera (che poi non lo sono mai), oppure passare per la nuova galleria e tornare un poco indietro fino a Eggi. Ma la galleria non è estetica e, quello che conta ora, è lunga più di sette chilometri e il povero ciclista rischia la pelle più che l'alpinista sullo spigolo nordest del Bove. Tira e molla, pensa e ripensa: la salita sputa sangue, la lunga digressione, rischiare la morte in galleria?
Salta fuori una quarta possibilità! Assolutamente priva di qualsiasi estetica, anzi vergognosa! Faccio il tasso al distributore o all'incrocio ed elemosino un passaggio per attraversare indenne l'infernal burella. Non lo racconterò a nessuno. Grazie a Saverio e al suo suo Fiat Daily, pieno di lastre di cartongesso e profili di alluminio, sono di là.
La valle del Nera è meravigliosamente imboscata con paesi favolosi e abbazie antichissime tra le sue pieghe boscose. Lo sporco trucco della galleria, tra l'altro, mi ha privato della cascata delle Marmore, di Ferentillo e San Pietro in Valle. Ci sono anche tanti impianti idroelettrici, alcuni dismessi, altri sembrano abbandonati ma con visibili i nuovi cartelli degli odierni padroni: ENEL, EDISON, TERNI, ENDESA, E.ON.
Potrei salire tranquillo verso Visso e verso casa; ma, visto che ho evitato con l'inganno una salita, mi posso riappacificare con la “giustizia del ciclista” salendo fino su a Castelluccio di Norcia. Arrivo a Triponzo, dopo una leggera discesa e il ponte sul Nera, a destra prendo la vecchia strada per Norcia. Ora, più a valle c'è quella nuova che passa nella immancabile galleria. Quella vecchia è chiusa da una sbarra e non proprio comoda, a tratti si deve scendere a andare a piedi, ma il percorso è selvaggio, o forse solo rinselvatichito dall'abbandono, tra pareti di roccia e sopra il torrente che ha scavato la forra. Più a monte la valle si allarga e con altre corte gallerie (l'ultima evitabile) arrivo agilmente a Norcia.
Trovo la città garbata ma troppo piena di turisti, decine di corriere scaricano i pellegrini che vengono nei luoghi di San Benedetto e Santa Rita. Esco sul rettifilo che costeggia fabbriche di prosciutti e segna il grande piano di Santa Scolastica.
Dopo il cimitero una strada sale su a sinistra verso la scarpata occidentale dei Monti Sibillini. Prima serpeggia varia tra compatti boschi poi sale monotona con due lunghi segni in un paesaggio pelato. È la pecca della parte alta Sibillini, semplicemente calcarei e secchi, solo erbosi e ventosi. Non come i Monti della Laga, al di là del Tronto, Giù lu Regno,  di bella arenaria, pieni di acqua e boschi. Ma non si creda che i Sibillini non siano interessanti....
La salita è lunga: dai 600 metri di Norcia devo arrivare ai 1500 del passo. Alcuni ciclisti con le bici da corsa, al carbonio, vanno avanti come le spade. Passati i 1300 di altezza è addirittura freddo e il vento e proprio noioso. Mi fermo sul ciglio della strada, il ventaccio mi butta di sotto il cappello, ma la vista verso la Piana di Santa Scolastica è esaltante, tra dardi di luce e pozze ombrose delle nuvole. Arranco stancamente fino al passo e poi giù veloce nel mitico Piano Grande di Castelluccio.
Venite per credere! Non serve esserci durante la fioritura delle lenticchie, basta in qualsiasi periodo dell'anno. É un piano carsico a circa 1400 metri di quota completamente circondato da montagne. Si solca il suo fondo come cavalcare nel deserto di Taklamakan o come sulla Luna o come sopra il Mare Oceano o ... Decidete voi. 
Il lato  orientale del piano è limitato da un ripido scalino di mille metri di dislivello, un  accidente tettonico ha sollevato il bordo orientale, o ha sprofondato il Piano di un chilometro. La cresta del bordo, da sud a nord, forma il Monte Vettore (la cima più alta delle Marche), la cima del Redentore, il Palazzo Borghese e il Monte Porche. Oltre la cresta attende il mondo silenzioso e magico dei Sibillini con tutta una serie di storie e leggende che gli girano intorno: da quella della Sibilla Appenninica, alle fate, al Guerrin Meschino a Pilato, inteso come Ponzio Pilato del Vangelo, che è stato scaraventato dalla giustizia divina dentro il laghetto di circo glaciale  ai piedi del Monte Vettore, dove dentro un curioso e unico endemico granchiolino rosso (Chirocephalus marchesonii) nuota con le zampette verso l'alto. Di là dalla cresta girano ancora templari, draghi, santi ed eremiti e pure  diavoli dentro ai loro Infernacci.  Lì dietro, proprio in cima alla valle del lago di Pilato, ci sono anche dei percorsi di arrampicata;  vie che tracciano  un calcare vagamente compatto che a noi, alpinisti dell'argilla, sembrano “vie dolomitiche”.
Il borgo di Castelluccio è in cima all'alto cocuzzolo, che divide il Piano Grande dal Pian Perduto. Ero stato qui, per la prima volta, negli anni 70. Mi ricordo che allora mi avevano impressionato i cani che erano quelli che una volta chiamavamo “cane lupo”. Erano molto vicini alle fattezze del lupo appenninico. Quello era un mondo di lupi buoni tenuti in paese e nelle case e di lupi cattivi, quelli di fuori, quelli selvatici, quelli che  facevano piangere i pastori.
Ho sempre parlato con le donne anziane durante i miei viaggi e quella volta, alla fine degli anni 70, dentro i vicoli di Castelluccio, la vecchia signora mi disse:

« Qui ci sono tanti lupi e d'inverno i lupi fanno piangere i pastori. »

Le scritte a calce bianca sui muri di Castelluccio sono una nota curiosa, un anticipo nostrano e ruspante degli odierni social network. Sono iniziati negli anni 60, gli autori creano di notte, animati da una verve boccaccesca e canzonatoria. Iniziano con una invettiva verso le ragazze del paese, che s'erano fatte ammaliare da “forestieri”:

Le ragazze del castello
Poverette di cervello
Au provatu a cambia’ ombrello
So jite con la fanteria che spara e tira via
Ma ste’ povere munelle
So remaste senza spari e senza ombrelle
Lo scrivimo su lu muru che ce’ limo sempre piu’ duro.

Passando per:

Fica d'oro se cridìa che la penna 'nge scrivia
no lo 'ntenne la poretta che lo raru e trovalla stretta.
Ie vorremmo fa capì
che nnè mancu nu Sqinquirinqui.

Ed oltre...... Che lascio a chi ci volesse fare un salto.

 

DA CASTELLUCCIO A CALDAROLA  Km  70


Oggi il percorso è tutto in discesa o quasi. Il mio obiettivo è arrivare a San Maroto, frazione di Pievebovigliana, provincia di Macerata, dove devo ritornare alla chiesa romanica del 1100 di San Giusto.  Unica delle Marche  a pianta circolare.
Inizia subito la discesa verso il Pian Perduto. Perduto da quelli di Norcia a favore di quelli di Visso in una mitica battaglia del 22 luglio 1522, quando solo 600 vissani sbaragliarono 6.000 nursini in una sola mattina. La storia l'ha raccontata in un poemetto del 1600 il pastore “letterato” Berrettaccia da Vallinfante.  Mi sembra strano che ci siano stati così tanti “soldati” sia da una parte che dall'altra. Comunque sia andata quella volta, il Pian Perduto è rimasto nelle Marche.
Tutta discesa niente affatto, mi devo godere la salita al Passo di Gualdo, qualche metro sotto i 1500 metri, e poi quasi venti chilometri di discesa boscosa e fresca, attraverso Castel Sant'Angelo sul Nera  fino in fondo alla valle.
Visso è piccola ma sembra una città seria con l'arco di entrata, il centro a portici e una  elegante piazzetta con addirittura due interessantissime chiese con pregevoli portali con tanto di leoni. Proprio seduto ad un tavolo del bar Sibilla, in fronte alla piazza, ascolto le mirabolanti avventure di altri viaggiatori. Loro, motociclisti, a mille chilometri al giorno, vanno in Cappadocia e ritornano in una settimana. E io che sono qui, sopra casa mia, non so quanto tempo mi ci vorrà ancora per arrivare.
Poco dopo Visso sono costretto ad abbandonare la ubiquitaria valle del Nera, che torna  verso l'Umbria e il Tirreno, e salire allo spartiacque a superare l'ennesima galleria, invero evitabile ma con un dispendio esagerato di dislivello e fatica.

« E chi ho mazzato?»

Dovrò pure usare la luce posteriore Cateye con tutti i suoi 12 led rossi lampeggianti, le lucine bianche anteriori e il giubbotto giallo della polizia inglese con le bande rifrangenti!
A questo punto è una vera veloce cavalcata sopra tutte le colline delle Marche del sud. Supero il gentile borgo di Pieve Torina, confluisco nella Statale 77 attraverso i prati  di Santa Maddalena. Ora il percorso della vecchia Statale si complica attorno alla nuova autostrada Umbria-Mare, più o meno in costruzione, si ingentilisce costeggiando il lago artificiale di Polverina. Subito dopo il lago salgo un poco a destra e sono arrivato al mio obiettivo. Sangiustodisanmaroto è già allettante nella musicalità e nella complessità del suo nome, specie se lo pronuncio tutto attaccato a ripetizione e urlandolo al mondo intero dalla bicicletta. 
Non c'è Don Mario, come l'ultima volta che sono venuto, anni fa, a guidarmi dentro i segreti della sua chiesa. Capacissimo esperto del Romanico e che conobbe i favolosi monaci benedettini dell'abbazia di Sainte-Marie de la  Pierre-qui-Vire, in Borgogna, quando vennero a San Giusto di San Maroto a raccogliere foto e notizie per la stesura della loro monumentale opera in 88 volumi sul romanico europeo “La nuit des temps”. Inoltre Don Mario, alla luce degli odierni avvenimenti socio politici, era un acuto precursore dei tempi con le sue invettive feroci contro i politici. Bontà sua, si limitava solo a dire che non erano preparati al loro compito e che non capivano nulla.
Avrei voluto raccontargli del mio peregrinare in questi anni per chiese Romaniche e Mozarabe e cappelle Visigote per la Penisola iberica. Avrei voluto raccontargli del presente viaggio in bici e del prossimo verso il romanico pugliese. Avrei avuto forse la sua approvazione. Forse mi avrebbe detto:

« Hai fatto proprio il giro dell'orto, figlio mio.»

E io non avrei mai saputo se l'orto che lui intendeva era la mia terra, la mia cultura o magari un giro attorno a quello che stiamo cercando o attorno al nulla. Ciao Don Mario. Torno lentamente indietro, scendo mogio mogio la valle del Chienti fino alla inaspettata Caldarola.

 

DA CALDAROLA  A  CASA 105 km


Stamattina il percorso è  filtrato da un velo di tristezza necessaria, forse un poco di saudade a portuguesa.  Percorro comunque indenne la strada fino a Tolentino, non mi fermo, vado via senza farmi vedere, come se mi vergognassi. Altre colline mi accompagnano fino a Rambona dove, forse, mi aspetta l'imprendibile cripta romanica, dagli orari limitati e variabili nel tempo.
Tra quelle colline ci sono molte strade e stradine, probabilmente quella che ho percorso io è passata in una discontinuità spaziale e umana.  Mi viene incontro la triade dell'orrore: il tamarro sovrappeso dalla barba incolta con occhiali scuri e fascianti, il dobermann lucido e tagliente e la BMW X5 dal ghigno reniforme e bilioso. È evidente che ce l'anno con me, non riesco a percepire chi è il peggiore o il più pericoloso. L'uomo è l'unico che abbaia e sbraita: sono nella loro proprietà privata, mi rompono la faccia, me ne devo andare... e altre amenità. Accidenti! Non c'era il cartello, non c'era la sbarra, non c'era nessuna indicazione.
E sì che credevo  che i pericoli del ciclista fossero i cinghiali o i cani randagi. Accidenti! Me ne vado con la testa bassa. Il mio cruccio maggiore è che mi sia successo proprio qui, dietro casa mia.
Finalmente, con la mente tersa, arrivo a Rambona. Ho fortuna e mi godo esagerati capitelli, la selva di vecchie ed agili colonne e le tre absidi sull'erba verde. Tutto quello che rimane dell'abazia del sito dell'Ara Bona.
A questo punto, arrivato a Passo di Treia, sarebbe semplice seguire la valle del Potenza  fino alla spiaggia sassosa di Porto Recanati e quindi a casa. Ma sotto Recanati mi assale il magone. Se i miei amici di Milano, conosciuti in Kashmir, quando vengono a casa mia vogliono andare a Recanati da Giacomo Leopardi, io che ci passo ora, in questa giornata di consona Saudade, non faccio un devoto pellegrinaggio alla più grande gloria delle Marche?
La salita per Recanati è tosta ma devo passare per “l'Ermo Colle” e per la siepe  “che da tanta parte dell'ultimo orizzonte il guardo esclude”, devo sedere e mirare e fingermi nel pensier “interminati spazi di là da quella, e sovrumani silenzi, e profondissima quiete”.
Percorro poi la strada acciottolata, che cavalca il crinale bordata da due file di case di mattoni, per la torre del passero solitario, per la piazza del comune fino alla vicina, tenerissima pinacoteca civica in cui, tra stinte tavole antiche, o come le chiama mia figlia “crocefissi verdi”, risalta l'annunciazione di Lorenzo Lotto dove il mio sguardo non è attirato tanto dall'Arcangelo che sta lì piantato per terra in una posa improbabile da “ragazzo matto” o  da Maria che mi guarda sorpresa e mi dice:

«  Ma questo è tutto matto! »

No, l'attenzione va al centro del quadro dove un gattone inarcato, con la coda sollevata e in fase di attacco è arrabbiatissimo con Gabriele.
Oltre Recanati ci sono colline e colline e colline e laggiù a est il mare. Su un colle verso il mare, pieno di alloro, dopo la Venuta miracolosa, fu costruita la città di Loreto. Ci arrivo presto e bene.
Non conosco l'origine del detto: Osimo è bello, Castello è segreto, si voi i ladri va a Loreto, i malfidati a Recanati. Probabilmente è nato solo per unire in qualche modo le cittadine simili e in simile posizione geografica. Non posso comunque rischiare di perdere la bici proprio dietro casa. Sarebbe la terza dopo quella di Amsterdam e di Torino. Anche se Loreto, non intrappolandosi tra le lugubri bancarelle di Madonnine di plastica luminescente (hanno anche quelle da bicicletta), non è male. Dal colle dell'ospedale con la Basilica della Santa Casa ha una sky line notevole sulla valle e sul mare. Verso nord-est si apre lo splendido ambiente di morbide colline che si affollano contro il carapace del Monte Conero che getta la sua anticlinale di calcare bianco dentro un Adriatico meno grigio del solito.
Sceso dal colle di Loreto, per evitare la SS 16 Adriatica, mi perdo in percorsi sbocconcellati di qua e di là della ferrovia (nessuna triade dell'orrore) fino a guadagnale la strada per Numana. Svolto quindi a sinistra, per Svarchi e Il Coppo. Questo luogo è un idillio tra colline e il lavoro dell'uomo, un elegantissimo paesaggio culturale. Oggi sono incline a pensare che, purtroppo ultimamente, è diventato un tantinello con la puzza sotto il naso: con il campo da golf, le aziende di “catering, banqueting” e un inglese che si parla come se fosse acqua (ma quando mai? Qui siamo stati sempre dei portolotti con un accento cantilenante di  una lingua gallo-piceno-greca); e gli alberghi di charme; e il Rosso Conero Riserva DOCG che costa una barca di soldi; e quello firmato da Bob Dylan; e i casali ristrutturati di pietra bianca del Conero a prezzi che solo i mafiosi russi le possono comprare (sono anche gli unici che ancora comprano le poche barche che si costruiscono ai cantieri  di Ancona. Poche ma esclusive con tanto di elegante salone in cui scende la neve finta). È tutto pettinato e arleccato. A Scirolo  non c'è più un sasso o un filo d'erba fuori posto. A Massignano avrà chiuso il ristorante dello zozzo? O sarà diventato come la Trattoria del Xxxxxx? Dopo che ci  hanno girato una scena del film di Nanni Moretti, è finito dentro le guide e se prima ci andavi a comprare il panì colla murtatella pe andà a rampigà sulle Placche dei Gabbiani adesso se ce vai te staccane le recchie. Cosa ci fanno le piantagioni blu di lavanda sopra Portonovo come se fosse la Cote d'Azur?  Qui da noi ci sono sempre stati il giallo nostrano delle ginestre e i rossi aspri e granulosi dei corbezzoli. La roccia è fatta di marne e argille e lenti di gesso e la falesia crolla in mare come denti marci, non ci sono gli altisonanti graniti della Costa Smeralda. E infine, proprio giù in fondo alla baia di Portonovo, proprio sopra il mare, la esagerata romanicissima chiesa di Santa Maria, da sempre è esageratamente privata. Ci possono andare solo i soliti mafiosi russi... a sposarsi.
Ho forse esagerato. La provinciale n 1 del Conero, da Sirolo ad Ancona è un incanto di sinuosità, di gentili saliscendi, di viste cesellate sulle colline dell'entroterra e sulla  costa alta sul mare, screziata dalla macchia mediterranea. Oltrepasso Massignano, Poggio, Pietralacroce e il forte Altavilla. Arrivo nell'Ancona dei ricchi con le grandi case, le grandi vetrate verso il mare e le grandi terrazze sopra il mare. Ecco il monumento ai caduti della grande guerra, rotondo, bianchissimo e dorico, ecco il bel Viale della Vittoria, piazza Cavour e Corso Garibaldi, quello pedonale dello struscio. Finalmente il porto.  Potrei salire su una nave per Croazia, Montenegro, Albania, Grecia, Turchia e via di nuovo. Invece oltrepasso la Banca d'Italia, la statua di bronzo dell'imperatore Traiano. Dopo le rupi di Porta Pia (eravamo sudditi del papa) il mondo cambia radicalmente e diventa troppo diverso da quello di la della riviera del Conero. A sinistra sfila il quartiere popolare degli Archi con il serbatoio interrato della Marina Militare e il parcheggio del vecchio gazometro, a destra il porto da pesca, ancora avanti la sopraelevata e la  stazione ferroviaria e ancora:  il Borghetto che pare bombardato, con le case tranciate dallo svincolo stradale per il porto e la vecchia fabbrica di medicine abbandonata.  Segue la statale 16 Adriatica, colma, rasa di camion che scendono dalle navi e vanno in Germania. Passo Torrette e arrivo a Falconara Marittima che mi riceve con la sua raffineria come una vecchia acida suocera. 
Poco dopo...finalmente a casa.
Ho fatto il giro dell'orto.