IN VIAGGIO CON LA MOGLIE - BORGOGNA

Antefatto

 

 

A fine primavera chiedo alla moglie:

“Che dici se quest’estate si fa un giro in bici di qualche giorno in Borgogna?”

C’eravamo stati qualche anno fa, su e giù per i canali con dei battellini in affitto e la cosa ci era piaciuta molto.

Continuo con ….

“Si tratterebbe di costeggiare i canali…”

Mi aspettavo un secco no. Invece lei mi fa:

“Ma ci sono salite?”

Gli rispondo con speranza:

“Le barche navigano in piano. Magari nel superare le chiuse ci saranno dei dislivelli minimi...”

La cosa andò avanti e decidemmo di raggiungere Auxerre in automobile e da lì risalire il Canal du Nivernais fino a Decize e poi attraverso il Canal Lateral de la Loire e il Canal du Centre arrivare a Chalon-sur-Saone e magari attraverso il Canal de Bourgogne raggiungere Dijon ed in fine tornare ad Auxerre.

 

 

[Image title]

 

 

1 - Da Auxerre a Clamecy – km 64

 

 

Il cicloviaggio inizia dal parcheggio del porto di Auxerre, in centro, sul bordo destro della Yonne affluente di sinistra della Senna. Scarichiamo le bici e la Specialized della moglie ha la ruota posteriore inutilizzabile, con la camera d’aria squarciata per alcuni centimetri nei presso della valvola.

“????”

L’avevo controllata e gonfiata secondo i dettami di Herr Schwalbe il giorno prima della partenza.  Non basta. Monto la ruota anteriore e i freni risultano troppo stretti. Li avevo sostituiti io stesso e funzionava tutto egregiamente ma, come dice Nello, il mio vecchio meccanico di bici:

“Te sulla bicicletta non ce devi mette le ma’!

Fai solo danni!”

Faccio il bravo, rabbonisco il selvatico che mi sale da dentro e, tra una cacca di cane a l’altra, regolo i freni e sostituisco la camera d’aria sotto gli occhi vigili, tra il divertito e il preoccupato di mia moglie.

Raggiungiamo la pista ciclabile dall’altra parte del fiume su un ponte dedicato. L’inizio è sfolgorante con il breccino bianco crepitante tra cespugli di lavanda dai colori dal viola al bianco; risaliamo il corso della Yonne ma, siamo ancora in città che ci tocca confluire nella strada asfaltata e nelle sue bifide rotatorie.

“Abbiamo fatto millecento chilometri con l’auto per venire in un posto uguale a casa nostra?”

Poco più in là, dopo un complicato passaggio, pensato per bici sottilissime o leggerissime, inizia la vera pista ciclabile, in liscio asfalto, con linea spartitraffico centrale e segnali posti nei posti necessari e non petulanti come quelli delle ciclabili austriache.  Poco prima di Vaux si rientra in una piccola strada priva di traffico che oltre il centro abitato è chiusa da pesanti blocchi di cemento ed espressamente “Interdit aux velos”.

“Che si fa?”

In Italia, dove si vieta il transito per motivi più che ridicoli, di sicurezza amministrativa, sarei passato, ma qui in Francia, forse saranno più precisi? Arrivano tre ciclisti da corsa tedeschi e dopo breve parlottio tornano indietro. Trovare una strada alternativa prevede la salita di ripide colline sulla sinistra del fiume oppure tornare indietro, andare sull’altra sponda e raggiungere la statale, due alternative improponibili. Al paese chiediamo ad un signore che ci dice:

“Vous pouvez tranquillement passer avec les velos.”

In effetti, poco più avanti, una ridicola frana di terra nemmeno interferente con la carreggiata, mi convince che i francesi sono come noi. Raggiungiamo di nuovo la pista ciclabile che scorre sull’argine del Canal du Nivernais, costruito dalla fine del 1700 per collegare la Loira a sud con la Senna a nord.  Il percorso è amenissimo, con lo sciabordio tenue delle acque e con centinaia di canards che ricamano figure complesse sull’acqua e grandi aironi che, arrivando o partendo, interrompono la calma integrità della superficie perlacea del canale. L’ambiente è talmente pacato che perfino il ticchettio della ruota libera del mio mozzo inglese Hope, è un fastidio percepibile e noioso, almeno per mia moglie che non vuole che gli stia dietro a tormentarla con quel rumore.

“Mi toccherà cambiare il mozzo?”

Ogni tanto il mondo si movimenta con la chiusa che permette di aumentare il livello del canale di un paio di metri. Il canale si stringe ed entra in un tratto di pietra, più in là sorge la casetta con il nome e i riferimenti geografici. Ora il traffico commerciale non esiste più, non ci sono i barconi che portavano la legna delle foreste del Morvan a Parigi. Sono stati sostituiti da imbarcazioni da diporto piene di gente, festante e salutante, di tutta Europa, ognuno con la sua bandiera, che armeggia alacremente con i martinetti a mano che fanno ruotare le doppie paratie di metallo che, a monte e a valle delle chiuse, frenano e fanno defluire le acque.

Noi e loro, ci si sente compagni di viaggio:

“Bonjour! Bonjour!”

È un continuo sbracciarsi in saluti.

Il canale corre parallelo alla Yonne, entra nel fiume, se ne allontana andando a lambire le colline che a volte mostrano delle falesie di una biocalcarenite chiara, alte alcune decine di metri, dove ci si arrampica con gran correre di corde sui rimandi e gran tintinnare dei moschettoni e delle protezioni. Nella tenera roccia vengono scavate anche grandi grotte e gallerie: Les Caves du Cremant de Bourgogne. Uno spumante ricavato con il metodo classico dal Pinot Noir e dallo Chardonay dell’Auxerrois. Nulla di meno, secondo me, dello stesso fatto più a nord, attorno a Reims, nella zona DOP della Champagne.

“Parola di Lupetto!

Ho anche il diploma da Sommelier dell’AIS.”

A volte il canale incrocia la viabilità ordinaria o quella agricola locale che lo scavalca con dei ponti, e questi sono gli unici momenti, oltre le chiuse, in cui si incontrano delle brevissime salite. A volte ci sono passaggi allo stesso livello con ponti levatoi e si ha una singolare sensazione a pigiare il bottone rosso per farlo abbassare o alzare.  Ai lati del canale sfilano graziosi petits villages con l’aguzzo campanile, dalle finestre con tavole di legno a mo’ di veneziane, circondato da case dagli acclivi tetti scuri e dai grossi conci di pietra e gran profusione di fiori e di lavanda. Dalla cima delle colline sorvegliano la valle le grandi dimore signorili, Les Chateaux. Ci fermiamo a Clamecy, ville fleurie, più grande dei petits villages, con una chiesa passabilmente romanica e, su in centro, una festa in piazza con tanto di complessino che con clarinetto e chitarra, intonava anche dei similfado.

 

 

[Image title]

 

 

[Image title]

 

 

 

2 - Da Clamecy a Chatillon-en-Bazois – km 65

 

 

Ci accoglie una mattinata fresca, passiamo al Carrefour City per comprare il pranzo e poi dal porto e imbocchiamo la ormai consueta ciclabile al bordo del canale sotto un’ombrosa teoria di grandi alberi. Incontriamo subito una gran quantità di colleghi ed inizia il rito del:

“Bonjour! Bonjour!”

Che, ad un musone della mia razza potrebbe sembrare a volte un tantino eccessivo. Ci sono coppie come noi con le borse attrezzate per qualche giorno e coppie da gita di un giorno e poi gli irraggiungibili. Famiglie con due o tre figli con tende, sacchi a pelo, fornelli e carrettini al traino, o con biciclettine munite di borsine e borraccine adeguate che alla bisogna vengono trainate dalla mamma o dal babbo. Il massimo che mi è capitato di vedere è stato un babbo con figlio piccolo sul seggiolino sul manubrio e altro figlio piccolo dentro il rimorchio, beatamente menefreghista del paesaggio, occupato ad incastrare i suoi grandi blocchi colorati. Siamo ormai rodati al percorso e introdotti agli usi, si va avanti tranquilli, il canale inizia a serpeggiare, la valle si stringe, colline boscose si avvicinano, le chiuse sono sempre più ravvicinate, si sale più decisamente verso lo spartiacque tra bacino della Senna e quello della Loira. Il paesaggio è decisamente di montagna, odoroso di Alpi con conifere, pratoni verdi e gruppi di mucche Charolaises al pascolo. Dopo una serie continua di chiuse, a Port Brulé il canale spiana, siamo al passo a poco meno di 275 metri sul livello del mare.

“Quale mare?”

Il canale fa una curva verso sinistra e scompare dentro una profonda trincea che poi diventa galleria. Lo abbandoniamo per una stradina che passa per la località di La Montagne e poi lo ritroviamo al bacino dell’Etang de Baye. Il versante atlantico è radicalmente diverso: non più dislivelli e chiuse, non più conifere ma gran campi di girasoli e mais sotto un sole mediterraneo. Il Canal du Nivernais va rettilineo verso sud o magari disegna delle larghissime anse, si affianca al fiume Aron che lo segue fino a Chatillon-en-Bazois. Sonnacchioso villaggio di strada con la chiesa e il comune in piazza, la farmacia e l’Auberge de l’Hotel de France per la strada e il supermercato al parcheggio del campo sportivo. Il cielo è particolarmente azzurro e il sole caldo fino alle 20, si cena all’aperto e gli ospiti sono tutti viaggiatori in bicicletta: francesi chiassosi, tedeschi chiacchieroni e noi della media Marca.  

 

 

[Image title]

 

 

 

3 - Da Chatillon-en-Bazois a Decize – km 52

 

 

Il sole di ieri e la conseguente scottatura sono definitivamente archiviati, oggi nuvole basse e scure ci rimettono a posto nel clima di transizione tra l’atlantico e il continentale temperato. Guardo le mucche Charolaises che stanno tranquillamente a pascolare senza patemi per la pioggia che forse dovrà venire. Non sono curiose come quelle della Castilla la Mancha, quelle ti seguivano con lo sguardo al passaggio, queste si fanno i fatti loro, forse ci sono troppi ciclisti da seguire. Sul canale appaiono i primi lenti picchiettii delle gocce di pioggia, poi si sentono anche addosso, sono pochi, non danno ancora fastidio. A Cercy-la-Tour la pioggia si fa insistente e fastidiosa, abbiamo già messo gli indumenti più o meno impermeabili, in realtà quelli della moglie non lo saranno affatto. Ci fermiamo sotto il gabbiotto di legno dell’ufficio del turismo in attesa di un miglioramento. Ma proprio lì c’è affisso in bella mostra il foglio delle previsioni del tempo:

“Pioverà per tutto il giorno!”

Riprogrammiamo la giornata. Arriveremo solo fino a Decize, del resto il Canal du Nivernais finisce lì sulla Loira. Decize è una cittadina seriamente posizionata su un colle tra la vecchia Loira ormai in secca e la nuova Loira perfettamente funzionante. Non è facilissimo trovare una sistemazione ma poi scopriamo che la cripta del secolo VII della buia e serissima chiesa di Saint-Aré è una delle prime costruzioni merovinge. Continua a piovere per tutto il pomeriggio e tutta la notte tanto che anche le due caprette che pascolano nel giardino nel Centre Hospitalier cercano una protezione dall’acqua sul davanzale delle finestre.

 

 

[Image title]

 

 

[Image title]

 

 

 

4 - Da Decize a Paray-le-Monial – km 82

 

 

Nel nostro stesso albergo alloggiano anche due cicloviaggiatori francesi che ci chiedono del nostro viaggio, ci aiutano con l’itinerario e ci regalano anche delle belle carte Michelin a colori. Io come al solito viaggio senza nulla di serio e sempre troppo a caso e le accetto molto volentieri. Ci informano anche del loro viaggio. Sono partiti da Montpellier e arriveranno fino in Alsazia con tappe di circa cento chilometri. Se la tirano un tantino e sottolineano che il loro:

“N’est pas un voyage pour femmes”

Sarà forse per questa frase “alla francese” che la moglie oggi farà più di ottanta chilometri e domani addirittura cento?

Oggi si tratta di seguire il Canal Lateral de la Loire verso Digoin ma il primo tratto, dalla letteratura e dalle carte risulta un tantino prolisso. Pensiamo di percorrere in perfetta pianura la strada D116 che poi diventa D15 fino all’Abbaye Notre-Dame de Sept-Fons e da lì riprendere la pista ciclabile del canale. La D116 è meravigliosamente deserta e tranquilla, qualche trattore con al traino balle di paglia e grandi mandrie di Charolaises a destra e a sinistra, ogni tanto un Petit Village. Ad un tratto si sconfina dalla Borgogna dipartimento di Saone et Loire fino alla Regione dell’Alvernia dipartimento dell’Allière. Ecco il cambio del numero della strada dipartimental. Arriviamo lisci lisci fino all’abazia che non ha lasciato nessun ricordo e quindi, poco prima della cittadina di Diou, ritroviamo la ciclabile ufficiale del Canal Lateral de la Loire. Stessi standard di quello dei giorni scorsi, con zone di sosta, panchine, tavoli e fontane di acqua ma con dei troppo presenti cancelletti in ferro per entrare e uscire, un tantino stretti, sicuramente invadenti e noiosi. Appena prima di Digoin il canale, con un lungo ponte in arcate di mattoni, scavalca ortogonalmente la Loira. Non ci fermiamo in paese, ma attraverso il Canal du Centre pedaliamo verso Paray-le-Monial decisamente più interessante. La cittadina ruota interamente sui suoi doppi valori: quello reale e visibile, architettonico e artistico attorno alla meravigliosa basilica del XII secolo e quello metafisico delle visioni avvenute nel XVII secolo in cui una monaca, poi divenuta santa, per gran parte della sua vita, ebbe la visitazione di Cristo. Oggi è il primo venerdì del mese apice dei pellegrinaggi di centinaia di fedeli cantanti e imploranti che affollano la brutta cappella della visitazione, la piazzetta antistante, la via della visitazione e tutto il centro cittadino. Abbiamo problemi per un’immediata sistemazione per la notte. Rimango a far la guardia alle bici, ostaggio di quella folla in preda ad una eccitazione estatica, per un tempo lungo e ancora indefinibile. La moglie finalmente ritorna inalberando una espressione vittoriosa e agitando la chiave del garage per le bici. Avremo una bellissima stanza all’ultimo piano di un albergo in centro con splendida vista sulla basilica.  

 

 

[Image title]

 


[Image title]

 

 

[Image title]

 

 

 

4 - Da Paray-le-Monial a Beaune – km 100

 

 

Il percorso odierno prevede la ciclabile del Canal du Centre fino Chalon-sur-Saone. Inizia tutto come al solito, ma dopo una decina di chilometri il percorso segnato abbandona il canale, fa delle circonvoluzioni e quello che è più grave per il rispetto del contratto con la moglie “sale” sulle colline di qua e di là. Preferiamo quindi la quasi deserta D947 che segue perfettamente il canale. Superiamo Montceau-les-Mines con la sinistra torre di evaporazione della centrale elettrica a carbone (edificio più alto di tutto il dipartimento Saone et Loire) che fa tanto centrale nucleare. Ora è proprio deserta, una pista ciclabile grande come una strada statale. Si susseguono lente le chiuse: Ocean 16, Ocean 15, Ocean 14… Dopo un grande specchio d’acqua ritroviamo la pista ciclabile canonica che passa sotto la linea del TGV del sudest e quindi prende in leggera discesa con le chiuse che hanno il nome Med, siamo nel bacino del Rodano che sfocia nel Mediterraneo. Decidiamo di cambiare obiettivo, preferiamo la cittadina di Beaune, il suo Hotel Dieu, ospedale per i poveri del 1400 e Les Grands Crus de Bourgogne.  Abbandoniamo quindi il Canal du Centre per la graziosa ville fleurie di Santenay e poi dopo una breve salita verso ovest si spalanca a nord una spettacolare e vasta costa collinare splendidamente foderata di vignobles. Son le viti basse ed estremamente curate e vezzeggiate dei Grands Crus de la Cote de Beaune. Una rete di stradine asfaltate sono incessantemente percorse da appositi trattorini a ruote che cavalcano le viti e le potano, le insufflano…e non so cosa altro. Un vigneron in motorino si ferma di tanto in tanto, si accuccia sulle viti, osserva il loro aspetto, traguarda le loro sagome, ci parla, sembra proprio che le conosca per nome una per una. Si susseguono Petits Villages:   Puligny-Montrachet, Meursault, Monthélie, Volnay, Pommard. Tutti estremamente scenografici e curati anche nelle strade che si occupano di rallentare il traffico veicolare e i rumore. Tutto deve essere grazia e tranquillità per le vigne, per i vignerons e per i turisti che possono fermarsi qui. Credo, tutti già sfacciatamente ricchi di grazia e di denaro.

Beaune non è grande, ma è il primo luogo ad avere un reale aspetto urbano, la Francia precedente era nettamente rurale e periferica con i paesi e le cittadine di “provincia” quasi priva di popolazione “giovane”. Si rinsalda la mia idea di qualche anno fa per cui l’unica vera città della Francia è solo Parigi e in Francia tutto tende a Parigi, tutti vanno a lavorare e a vivere a Parigi, le grandi Università sono a Parigi, le autostrade e i treni passano da Parigi. Provate a simulare il viaggio in treno da Dijon ad Auxerre, ambedue perfettamente in Borgogna, il sito web della SNCF proverà a farvi passare con il TGV da Parigi, che sta a nord est della Borgogna. Beaune è la opulentissima capitale dei vini di Borgogna, densa di ricchissimi americani, inglesi, belgi, giapponesi, cinesi, piena di locali alla moda, restaurantes, brasseries ma in Place Carnot non manca la popolarissima e francesissima orchestra con il bandoneon che intona dei tanghi malamente ballati dalla gente normale, gente francese di qui. L’acuta freccia del campanile dell’Hotel Dieu, infilata in mezzo al cielo occidentale ancora luminoso, fa gentile guardia alla dolce serata e alla luna crescente.

 

[Image title]

 

 

[Image title]

 

 

[Image title]

 

 

[Image title]

 

 

[Image title]

 

 

6 - Da Beaune  a Dijon – km 47

 

Usciamo da Beaune per la D974, poco dopo attraversiamo Nuits-Saint-George elegante ed altera asserragliata dietro i suoi domaines e ignerons, a Vougeot cerchiamo la più tranquilla D122. Ritorna l’apoteosi delle vigne del Borgogna, questa volta della Cote de Nuits; i villaggi di Chambolle-Musigy, Morey-Saint-Denis, Grevey-Cambertin, sono ancora più “finti” di quelli di ieri con chambres d’hotes da centinaia di dollari a notte. Prima a sinistra il villaggio Vosne-Romanée dove si produce forse il vino più famoso e forse costoso di tutta la regione a centinaia di dollari a bottiglia. Ripensandoci, dopo qualche giorno che bevo Borgogna a cena, comincio a capirci qualcosa. Non sono semplici, sfacciati e rudi come i nostri rossi, sono invece tenui di colore e negli odori ma elegantissimi e poliedrici, sfaccettati, quasi infiniti nei loro sentori, difficili e dal mio punto di vista, condizionato dal potere di spesa.  Un più valido esercizio della loro conoscenza è improponibile e non raggiungibile.  Ora lungo la strada ci sono alcuni semafori, palestre e condomini, capannoni, si annuncia la città, seguiamo il percorso del tram, passiamo sopra il Canal de Bourgogne e sotto la ferrovia. Siamo al centro di Dijon potente, elegante e colta capitale del ducato di Borgogna che comprendeva anche i Paesi Bassi, il Belgio e il Lussemburgo e terra natale di più di un Imperatore fino a Carlo V, figlio di Filippo I d’Asburgo e di Giovanna “la pazza” di Castiglia. Imponente anche se rimaneggiato dai francesi il Palazzo dei Duchi con il suo imperdibile Musée de beaux-arts, singolare la chiesa di Notre-Dame e il suo elaborato orologio con una intera famigliola di martellatori di bronzo aumentata nel corso del tempo perché il martellatore capo si sentiva solo. La moglie decreta la fine dal viaggio nella luminosa Place de la Liberation. Dove decine di bambini fanno il bagno con gli schizzi d’acqua zampillanti dal pavimento di roccia chiara, i cento km di ieri non sono proprio passati inascoltati. Domani prenderemo il treno per Auxerre e quindi l’automobile fino a casa.

 

[Image title]

 

 

 

Note sul ritorno a casa

 

 

Dobbiamo prendere due TER della SNCF uno elettrico fino a Migennes e poi uno a gasolio fino ad Auxerre Saint-Gervase, il prezzo è circa il triplo di quello dei nostri regionali ma les velos non pagano e i treni sono nuovi e comodi. L’unica bizzarria è che nei tabelloni elettronici e nell’orario generale affisso nella stazione di Dijon Ville non c’è indicato il binario dei treni, nessuno sa il binario del nostro treno, né l’ufficio informazioni né i ferrovieri. Il binario sarà manifesto venti minuti prima della sua partenza e così per tutti gli altri treni. L’atrio della stazione è stracolmo di viaggiatori, molti con le bici. Tutti con gli occhi puntati verso l’alto, come delle Maddalene penitenti di El Greco, ad aspettare che scenda il verbo, che appaia il binario sul tabellone elettronico.  Le Jugement dernier tarda. Arriva solo cinque minuti prima della partenza:

“Voie J.”  

Inizia uno scomposto arrembaggio, una drammatica corsa verso la salvezza, tutti si accalcano giù per le scale del sottopassaggio e poi su per le scale.

“Quanti ne saranno rimasti lì sul marciapiedi? Saranno stati fucilati? Deportati?

Venduti schiavi?”

Noi siamo riusciti a salire, con noi è salito anche un antico cicloviaggiatore inglese munito di una Dawes Galaxi Tour rossa degli anni ottanta del secolo scorso e di coeve borse di tela. Era reduce della 78e Semaine fédérale de cyclotourisme a Dijon e tornava in GB. Prima di prendere la definitiva strada di casa, dobbiamo eseguire devoto pellegrinaggio ad Autun, già prospera città gallo-romana dove nel XII secolo fu chiamato il sommo Gislebertus a scolpire il portale e i capitelli della esagerata cattedrale di Saint-Lazare.

 

[Image title]

 

 


[Image title] [Image title]

 

 

[Image title]

 

 

Rimaniamo presso Gislebertus più del dovuto e al traforo del Monte Bianco è prevista una lunga attesa, ci fermiamo a Chamonix. Orrenda enclave nelle nostre belle Alpi di una mefitica congerie di culture aliene. Per il corso pedonale è necessario stare con le mani in alto per evitare i musi bagnati dei cani. Tra improbabili e brillanti vetrine, forse di attrezzi da alpinismo, ondeggia putrida una folla di cani vestiti da padroni e padroni vestiti da cani, pinguine e pipistrelle. Nella notte l’allarme incendio ci costringe tutti all’esodo dall’albergo. La mattina dopo scappiamo via guardando solo in alto: verso le Glacier des Bossons, le Dru, le Pilier Central du Freney…

Lasciamo comunque la Francia con tenerezza e anche con un filo di compassione per il suo (e anche nostro) difficile momento con due immagini.

“Au revoir!”

 

 

...

ma non vi danno un po' di dispiacere

quei corpi in terra senza più calore?

 

 

Nizza 14 luglio 2016 - F. Battiato 1991

 

 

[Image title]

 

 

[Image title]