Il richiamo del Mare Oceano

Il richiamo del Mare Oceano  – Km 685

 

Me raccomando!

Non lo dite a nessuno.

Se no il Presidente, a Calambrone al raduno annuale, me brugia la tessera.

 

Tra Tolouse e Moissac – settembre 2017

 

 

 

“Oh, che altra vita vorreste rifare? La vita ch’ho fatta io, o quella del principe o di

chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe

come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta,

nessuno vorrebbe tornare indietro?”

 

Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere

Giacomo Leopardi - 1832

 

 

 

Dal Mediterraneo all’Atlantico passando per l’Occitania e l’Aquitania, Toulouse e Bordeaux, seguendo il Canal du Midi e il Canal lateral a la Garonne.

Ho sempre amato volgere interminabili sguardi all’Oceano. Molti anni fa ero “ un guardatore di Oceani” svolgevo seriamente la mia attività più che altro alle isole Azzorre, ma anche sulla costa del basso Alentejo,  al Capo Finis Terrae in Galizia, alla Pointe du Raz in Bretagna, una volta anche a Land's End in Cornovaglia.

Era ormai tempo di tornare indietro.

 

 

Doveroso preambolo tecnologico

 

Ho fatto il bravo. Ho scaricato la mappa OSM della Francia e l'ho messa sul mio Garmin Edge 705, ho preso la traccia del percorso da Séte a Bordeaux dal sito “Le Canal des 2 mers à vélo, de l'Atlantique à la Méditerranée” e l'ho messa al suo posto nel predetto dispositivo. A casa tutto funziona ma lì sul posto il maledetto mi crea dei problemi. Alla domanda:

"Dove si va?"

Nove volte su dieci non riesce a raggiungere le corse salvate e, se lo fa, nove volte su dieci non riesce a caricare la traccia; quando lo fa, alla prima occasione che la abbandono, anche per soli dieci metri, anche solo per fare la pipì, lui ricalcola il percorso e il perfido, sempre, dieci volte su dieci si pianta e lo devo spegnere.

In queste condizioni sono costretto a usarlo solo come contachilometri e registratore del percorso.Quindi sono alla vecchia moda: vado in giro a caso, orientandomi con i cartelli stradali per automobilisti, a volte per ciclisti e cercando di ricordare la geografia della Francia del sud. Sono stato sempre bravo in geografia, l'ho insegnata anche per alcuni anni nelle scuole superiori italiche. Alla fine devo solo seguire il Canal du Midi.

"E che sarà?"

 

 

Ulteriore preambolo tecnico

 

Ho dimenticato a casa la Moleskine di Chatwin. Per conservare i segni di questo viaggio non mi posso affidare solo alla memoria, ho bisogno di un quaderno.  All’Intermarché di non so dove ho ottenuto un risultato fantastico, trovando “mon ami chaton”.

[Image titleMon ami chaton]

 

 

1 – Da Sète a Cabezac – km 94 (Il venditore di ocarine)

 

Séte è una città strana, pienamente mediterranea con caseggiati alti e colorati costruiti sui canali che la innervano a lato di un grande porto industriale e di grandi depositi di petrolio. Cerco di raggiungere la costa verso sud, sbaglio canale, torno indietro, vengo fermato per non entrare nel set di un film con tanto di cecchini appostati e macchine della polizia con le porte aperte e i lampeggiatori accesi. Raggiungo la pista ciclabile, addirittura commovente: balaustra in acciaio sopra il bordo del mare, percorsi divisi tra pedoni e bici e uno spazio accudito a lavanda e a macchia mediterranea. In qualche modo raggiungo l’Etang de Thau, a sinistra la sabbia e le onde placide, a destra aironi e fenicotteri.  Alla fine dell'istmo trovo il Canal du Midi ma i suoi argini non mi sembrano molto ciclabili, almeno secondo i miei desideri di oggi. Prendo la D612 fino ad Agde, subito a nord della stazione ferroviaria intercetto di nuovo il Canal du Midi: non è meglio di prima. Vado avanti sulla D612 per un bel pezzo, lo incontro di nuovo e stavolta la cosa è passabile e arrivo sino a Béziers dove il canal du Midi mostra le sue meraviglie: il bel ponte sopra il fiume Orb e quindi un bacino dove si riuniscono due canali e dopo una cascata di nove chiuse in rapida salita, si allarga in un ampio bacino.

Decine di barche salgono e scendono le chiuse, centinaia di belgi e cinesi guardano e fotografano quelle navigazioni, ciclisti a motore elettrico girano come drosofile sulla frutta matura, il ristorante è gremito di gente chiassosa, il trenino per il giro della città partirà di lì a poco, magliette sventolano come vessilli dalle bancarelle del solito ciarpame. In fondo risalta la potenza da castello della cattedrale di Saint-Nazaire che mi ricorda che sono ancora in Europa ma la situazione è da singolare suk orientale e porto franco medievale con venditori urlanti, botteghe di barbieri, scrivani e traduttori, cambiavalute, predicatori catari e cavalieri dell'ortodossia papale che mozzano loro la testa.

Dal fondo di quel caldo mezzogiorno astronomico emerge il venditore di ocarine. Un ragazzone con una gran barba sufi.  In italiano, urla al mondo:

“Ocarine. Ocarine…Originali di Budrio!”

Dice di chiamarsi Xavier, nato a Ferrara da madre di Comacchio e padre di Santo Domingo de la Calzada nella Rioja. Tira a campare vendendo ocarine e raccontando storie nell’Europa del sud. Mi racconta che non può andare a nord del cinquantesimo parallelo del nostro emisfero. Gli chiedo come mai di quella precisione astronomica, e lui mi risponde:

“Non te lo posso dire… Ma sono stato anche a Vancouver e Winnipeg a Odessa e in Cornovaglia.”

Compro un'ocarina di terracotta smaltata a 12 buchi. Ci tirerò fuori qualcosa, alla fine è un flauto globulare e da ragazzo il flauto lo suonavo. Mi allontano pensieroso da quel sito singolare che Xavier inizia a salmodiare sempre in italiano:

“Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi. Bisognano, signore,”

Proseguo sulla ciclabile, grazie a Xavier, da Passeggere.

Il lato nord del Canal di Midi presto diventa il lento supplizio della inquisizione: radice, radice colorata di verde, pietra, pietra colorata di verde, fango, breccione, pedone lento, pietra, radice, fango, pedone lento, breccione soffice...

“Accidenti a me! Perché non ho preso la Fargo?”

Il Canal du Midi è adatto per andarci in barca e non in bici, costeggio il grazioso villaggio di Colombiers, al Tunnel de Malpas il mondo si fa lunare e secco di polverose e calcinate marne.  Fuggo su una stradina asfaltata con il cartello “Véloroute dell’Erault”, rientro sull’argine del canale a Poihes, single track fino ad un ponte dove guadagno la bella e solitaria D11 fino a Capestang, mi fermo poco più avanti nel solitario e deserto gruppo di case della Bastide di Cabezac.

[Sète]

 

2 – da Cabezac a Toulouse – km 138 (Dolore per la nostra Europa)

 

Stamattina non mi azzardo nemmeno a cercare il Canal du Midi e quindi giù a palla sulla D11 e poi sulla D610, poco trafficate e agevoli, su un paesaggio di colline blande punteggiate da pale eoliche fino a Trebes. Città con cartello bilingue: in francese e in occitano (???). Non ne posso più di questa ricerca del diverso a tutti i costi, del particolare, del mio piccolo contro il tuo piccolo. Ora che sto scrivendo queste note proprio durante il triste e doloroso referendum degli estremisti della Catalogna per fuggire via dalla Spagna, dall'Europa e dal mondo intero per andare chissà dove.

“Ma dove volete andare?"

Cosa ci fate della vostra insuperabile superbia sul deserto di Saturno?

Fateci il bagno nel vostro acido spumante “cava” sul buio specchio freddo di Plutone!

Carles Puigdemont… Invece di seminare facile odio, perché non torni a scuola che non sei manco stato capace di finire l’università?”

Intanto, a Trebes, risalta dalla polvere una Plaza de Toros come a confermarmi con un grido doloroso:

“Franza e Spagna, la misma cosa, la même chose!”

La strada supera il fiume Aude e finisce sulla D6113 a gran traffico di camion che mi fanno il pelo e mi fanno ritornare al contingente immediato, devo portare salva la pelle almeno fino a Carcassonne.

Salto a piè pari la Cité, finta fino al midollo dentro le sue finte torri cilindriche. Una via di mezzo tra Paperopoli e Las Vegas (quella del Nevada del sud, negli USA) dove si imbottigliano milioni di turisti alla ricerca di un medio evo falso e facile. Mi fermo sul piazzone alberato della Ville a pranzare con le gallette bretoni di pur beurre, con le graziose informazioni scritte in francese e portoghese. Riparto sotto un sole estivo e caldo sempre sulla D6113, ma molto più tranquilla, fino a Castelnaudary. Gran porto sul Canal du Midi con tanto di una turcheggiante torre di Galata. Ci ricasco ancora. La ciclabile parte bene con un asfalto un po’ rugoso, comunque si va alla grande ma l'illusione dura meno di dieci chilometri, poi il solito inferno di sassi, radici, fango, canne taglienti e cespugli. Al villaggetto di Le Segala prendo da D218 e poi di nuovo la D6113 che oramai è mia amica.

“Basta! Non mi farò fregare più fino a Toulouse.”

 

 

3 – Da Toulouse a Moissac – km 91 (Gli inglesi sono già su Plutone)

 

Faccio la pace col Canal du Midi, l’entrata a Toulouse è un trionfo di sontuoso asfalto e interminabili linee convergenti di grandi alberi. La città è interamente votata alla scienza e alla ricerca, passo vicino a istituti di ricerca impensabili da quello sulla biologia molecolare, ai sistemi atomici molecolari complessi, ai feromoni, l’Université Paul Sabatier, i centri di ricerca aerospaziali, la fabbrica degli Airbus e dei missili da guerra.

In centro, la luce piatta del mattino non estrae i riflessi dorati dai suoi rossi mattoni. Toulouse la Rossa non rifulge di sé come nelle pagine patinate delle riviste di viaggio. Mi devo accontentare di un autoritratto sulla vetrina di Nespresso in Place du Capitole.

[Place du Capitole]

Arrivarci è stato semplice ma trovare il giusto canal Lateral a la Garonne è come il viaggio degli argonauti di Giasone nella Colchide. Il Garmin, come già detto, fa solo zavorra, raggiungo il bordo destro della Garonne e il canale che ne esce subito a valle del Pont Saint-Pierre, raggiungo il grande bacino da cui escono ben tre canali artificiali, individuo quello giusto, non mi aspettavo che ci fossero solo le indicazioni per la “Véloroute du Purkaballo” ma ci sono decine di percorsi ciclabili e decine di cartelli per posti sconosciuti. Faccio casino, imbocco quella per l’aeroporto di Blagnac, torno indietro ora la strada è giusta: bella ciclabile ma rumorosa tra autostrada, canale e ferrovia. Poco più avanti un francese mi dice, o almeno capisco, che devo fare una deviazione e passare sopra un ponte, faccio i soliti casini, entro con gran percorsi a quadrifoglio dentro un ponte autostradale, gli automobilisti si sbracciano preoccupati più di me.

“NO NON NO!!!”

Torno indietro da la infernal burella in cui mi ero cacciato, contromano, sento l’ala della morte che mi fa vento sulle orecchie, vedo le facce sempre più stranite degli automobilisti francesi.

La ciclabile poi era perfettamente integra e funzionale.

“Chissà cosa mi voleva dire l’uomo che ha mosso tutto quel casino? 

O sarà stato dei servizi segreti russi che vogliono disfare la Comunità Europea?”

Finalmente mi crogiolo dentro il percorso promesso dalle foto dentro il sito “Le Canal des 2 mers à vélo, de l'Atlantique à la Méditerranée”. Il canale placido in cui si specchiano i voli dei Canards e le ombre dei grandi alberi dai maravigliosi colori dell'equinozio di autunno che lo avvolgono e lo proteggono. Finalmente… Fino a che il maligno non ci mette la coda. La ruota davanti si buca, la cosa non mi dispiace, è dal tempo dell’Albania nel 2014 che non mi succede. Ho tempo, sono tranquillo, faccio tutto con calma. Rovescio la bici, tolgo la ruota, smonto la camera d’aria, c’è una spina. Intanto si ferma una cicloviaggiatrice francese che mi chiede se ho bisogno del suo aiuto. Le rispondo tranquillo:

“Merci!  No no.”

Si ferma un’altra cicloviaggiatrice francese:

“Merci!  No no.”

Si fermano due Spagnoli di San Sebastian, mi dicono Spagnoli e non Baschi.

“Che brava gente in questi periodi di Spagnoclastia!”

Rimangono a parlare, per me è meglio il castigliano che il francese, intanto che si chiacchiera di viaggi in bici, metto il mastice e la pezza.

Loro poi se ne vanno e io gonfio la ruota, ma lei non ne vuole sapere di rimanere bella tonica:

"La pezza non tiene!"

Ricomincio da capo, stavolta un poco stizzito, rovescio di nuovo la bici, la riapro. Passano due inglesi con le Ortlieb d’ordinanza, ma da loro nemmeno uno sguardo, nemmeno un bye bye.

"Sono già extracomunitari fino all’ipotalamo!"

Questa volta monto una camera d’aria nuova di zecca, una bella Schwalbe SV17, ben morbida nel suo bianco talco. Mi girano un poco le palle, sono più concitato della prima volta, la ruota tiene ma già dopo qualche chilometro che vado mi accorgo che il copertone è montato alla rovescia.

"Non se po’ guardà!

Me raccomando! Non lo dite a nessuno. Se no il Presidente, a Calambrone al raduno annuale, me brugia la tessera."

Più avanti, un tantino tra le nuvole tiro dritto e imbocco un canale che si dirama verso nord. È evidente anche a me che non è la via giusta. Non faccio in tempo a fermarmi che la gentile ragazza in bici mi dice che di lì si va a Moutauban e non a Moissac. Ma da come ha pronunciato Montauban mi era venuta una gran voglia di andarci, a Montauban... No, mi aspetta da anni l’Apocalisse del portale dell’Abazia di Saint Pierre

Poco prima di Moissac il canale fa una curva verso nord e supera ortogonalmente il fiume Tarn che dal Massiccio Centrale proprio lì confluisce nella Garonna.  Moissac è piccola e accogliente, l’albergo è bellino. Dico alla signora che ho bisogno di una camera d’aria e domando se in città c’è un negozio di bici, lei mi dice che ha chiuso da un po’, ma tira fuori dal cassetto magico una camera d’aria del Decathlon e me la regala.

“Merci Madame!”

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[Ponte canale sopra il fiume Tarn]

 

4 – da Moissac a Marmande – km 108 (Pentiti Pellegrino!)

 

Ieri mi sono preso l’ardito lusso di cenare all’aperto a meno di dieci metri dal portale che avevo attentamente osservato per buona parte del pomeriggio. Non scriverò nulla, rimango “muto come un pesce nell’acqua”. Lo Mesto Purkaballo non avrà l’ardire di misurarsi con Adso da Melk e con Umberto Eco che lo descrissero magistralmente ne "Il nome della Rosa". Potrà citare solo dei brani a caso:

“Ma orrenda mi parve dal lato opposto un’aquila, il becco dilatato, le piume irte disposte a lorìca, gli artigli possenti, le grandi ali aperte…un toro e un leone, ciascuno dei due mostri serrando tra gli artigli e gli zoccoli un libro, il corpo volto all’esterno del trono ma il capo verso il trono, come torcendo le spalle e il collo in un impeto feroce, i fianchi palpitanti, gli arti di bestia che agonizzi, le fauci spalancate, le code avvolte e ritorte come serpenti e terminanti all’apice in lingue di fiamma.

…e vidi una femmina lussuriosa nuda e scarnificata, rosa da rospi immondi, succhiata da serpenti, accoppiata a un satiro dal ventre rigonfio e dalle gambe di grifo coperte di ispidi peli, la gola oscena, che urlava la propria dannazione, e vidi un avaro, rigido della rigidità della morte sul suo letto sontuosamente colonnato, ormai preda imbelle di una coorte di demoni di cui uno gli strappava dalla bocca rantolante l’anima in forma di infante (ahimè mai più nascituro alla vita eterna), e vidi un orgoglioso cui un demone s’installava sulle spalle ficcandogli gli artigli negli occhi,…”

Son lì a roteare dentro il mio bicchiere a calice un Bordeaux del Medoc, sto per metterci dentro il naso, come si deve fare, quando una luce, forse di una silenziosa e lontana moto, irrompe dalla notte e si fa rosso riflesso di sangue. Un lampo, una voce:

“Pentiti pellegrino!”

Un brivido di freddo mi sale dalla schiena…

“No. No! Mi faccio fregare sempre dalla letteratura…”

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Stamattina per un buon tratto di ciclabile son immerso in una moltitudine di pellegrini che vanno verso Santiago, in Galizia, sono costretto a volte a suonare il campanello. Poi  spariscono, vanno verso sud a Condom, fanno il percorso che da Le Puy-en-Velay passa per Conques e si congiunge con gli altri itinerari francesi a Saint-Jean-Pied-de-Port. Sono generalmente a coppie, lui più grosso a sinistra e lei più minuta a destra, hanno la loro uniforme: lo zaino, il bastone e la conchiglia (il pecten) attaccata dietro. Nel profondo del mio pensiero li sto denigrando, tutti omologati dentro quel falso storico di Santiago apostolo, Matamoros, e del falso miracolo del Campo delle Stelle che è diventato una speculazione globale del turismo di massa. Ma un’analisi più razionale mi dice che anche noi siamo omologati con la nostra uniforme di cicloviaggiatori. Dal lato irrazionale poi, è meglio che ritorni "muto come un pesce nell’acqua".

“Bonne route a tout le Monde.”

La ciclabile scorre amabile e tranquilla a volte di qua, a volte di là dal canale, dopo Valence d’Agen le chiuse si diradano, passo dentro Agen e poi a Buzet-sur-Baise.  A Pont de Sables devo abbandonare il canale per raggiungere Marmande subito a nord del ponte sulla Garonne.

La città è inaspettatamente interessante e viva, sensuale e complice. Gente ai tavoli dei cafè all’aperto, tutti poeti francesi di Gucciniana memoria, la fila composta per assistere al concerto di musica jazz, la vertigine dell’ardita minigonna della modella di Modigliani che mi accoglie nell’albergo. Poi, la splendida cameriera nera africana con una singolare treccia di capelli da bionda e longobarda Ermengarda e i generosi, attillati jeans, oltre che a un diligentissimo magret de canard e un gran vin de Graves, sfuso a sette euro la demi bouteille, rinfrancano non poco la ben fresca serata atlantica.  Il vino di Bordeaux è più popolare del Borgogna ha più impatto forse è anche più semplice da apprezzare, tannini evoluti, legni evidenti, odori ben sensibili.

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5 – da Marmande a Bordeaux – km 96 (Poveri inglesi di Aquitania)

 

La red ensigne, la bandiera della marina mercantile del Regno Unito con la Union Jack in campo rosso sventola a poppa della barca. Non è la solita barca di plastica del noleggio. Stamattina ci stiamo rincorrendo o meglio loro mi rincorrono, io mi fermo a mangiar gallette bretoni e a perder tempo e loro, più lenti, mi raggiungono e salutano in francese

“Bonjour, Bonjour!”

Sono solo in due sulla loro grande barca di legno scuro e lucido, la cabina con finestre di un tardogotico fiorito. Manuelino? No sono fregi indiani, carri del sole, braccia, facce nasute di Ganesh. Dentro un’ombra di profilo oscura lo specchio della vetrata: il copricapo sik del maggiordomo. Non è una barca sul Canal lateral a la Gironde ma una house boat di un alto ufficiale del British Empire sul lago Dal a Srinagar. Odore di the al cardamomo, tandoori e zafferano, e una tigre domestica sdraiata sui tappeti di seta da accarezzare. Gli inglesi sono qui almeno dal dodicesimo secolo. Nel 1152 Eleonora d’Aquitania sposò Enrico Plantageneto, Duca di Normandia, conte di Angiò e del Maine e dal 1154 Enrico II Re di Inghilterra. A quel tempo Bordeaux era un feudo inglese e i Grand Crus del Medoc e del Graves erano vini inglesi. Poi venne Giovanna d’Arco e con il dio dei cristiani dalla parte dei francesi, dopo la guerra dei cento anni divenne più o meno ancora Francia.  Mi sono sempre domandato fin dai tempi del liceo se non fosse stato meglio per l’Europa di oggi che Giovanna D’Arco avesse ricamato pizzi in qualche inutile convento di clausura e non si fosse impicciata a increspare la storia. Comunque gli inglesi rimasero come se fossero ancora a casa loro, con le loro vigne, le loro abitudini e i loro club, abbastanza integrati allora e ancora di più dentro la Comunità Europea.  Fino a pochi anni fa, nella civiltà pre-digitale, erano stampati quotidiani in lingua inglese. Ora gli inglesi della Grande Bretagna gli hanno fatto uno scherzo macabro li hanno resi alieni ed “extracomunitari”.

“Cosa faranno ora i poveri inglesi di Aquitania?”

La ciclabile intanto scorre tranquilla, i numeri sui cippi chilometrici diminuiscono veloci, tendono a zero.

“Ma come non arriva fino a Bordeaux?”

“No!”

A Castets-en-Dorthe il Canal Lateral a la Garonne dopo la chiusa entra nel fiume, dopo la Capitaneria di Porto la ciclabile ha il suo chilometro zero. Ci rimango male, dopo centinaia di chilometri sono orfano della mia amata ciclabile. Là fuori mi aspetta il gran ponte, strade assolate e anonime, il borgo di Saint-Martin-de-Sescas e poi ancora strade con numeri sopra il mille, roba da gran traffico, ancora un gran ponte sulla Garonne e arrivo alla grande città di Langon e poi più nulla da riportare fino a Bordeaux.

Quell’albergo è vicino a Place de la Bourse, ha il garage per la bici, la appoggio al muro ed entro senza grandi preparativi, chiedo una camera. La signora con la gonna scura e l’etichetta attaccata alla camicia bianca, mi fa secca, e anche un tantino stronza:

“Desolé, nous n’avons pas des chambres. Il y a beaucoup de monde aujord’hui.”

Esco con le orecchie basse. Mi viene un dubbio, non sarà che non hanno posto solo perché ho la bici e sono con la maglia rossa con le maniche corte, arruffato, con la barba lunga? Di solito queste cose mi succedono solo in Italia. Avevo visto con Booking, le camere c’erano. Mi armo di nuovo del furbotelefono e prenoto una stanza, saranno passati tre minuti che mi presento di nuovo.

“Bonjour, je suis retourné, j’ai reserve une chambre pour ce soir.”

Lei rimane sorridente, ma dapprima non ci crede, scruta sul suo computer, poi mi guarda ruotando un poco il viso e mi chiede:

“Vous êtes Monsieur Agostinì?"

Fa finta essere di nuovo desolé, si scusa e mi dice che loro sulle camere di booking non hanno nessun potere. Mi sembra una balla, ma preferisco tenermi il dubbio. Mettiamo la bici in garage e vado su al terzo piano in ascensore con le mie borse impolverate a godermi i lussi della Chambre Privilège con il grande letto matrimoniale con sopra decine di morbidi cuscini e tre ampie finestre, abbandonando alla rinfusa i miei poveri panni da ciclista sulle poltrone e sul divano di pelle.

Bordeaux è città grande, atlantica e popolare, forse meno elegante della rossa Toulouse, sicuramente meno tecnologica e altera. L’ultima volta che ci sono stato, quando ancora tutta la letteratura era sulla carta, aveva la libreria più grande di Francia. La Livrairie Mollat in Rue Vital Carles, ora è chiusa, è domenica pomeriggio e la Francia non è né Senigallia né Las Vegas. Bordeaux è forse ancora un poco Portogallo, ospita una cospicua comunità lusitana ed è facile trovare testi e musica, oltre ai negozi e ristoranti, portoghesi.

Il largo lungo fiume è gremito di gente, i riflessi dei palazzi di piazza della borsa illuminata a giorno, fanno risaltare le facce di persone di varia indole e provenienza che vivono la calda serata estiva: chi va in pattini, chi con quegli strani trabiccoli elettrici a due ruote, chi ancora fuma in gruppo cose rituali. Alcuni giovani ti abbordano con storie patetiche e ti chiedono soldi, I bambini si corrono dietro e qualcuno sguazza nel grande e sottilissimo miroir d'eau. A guardare il film iraniano in lingua originale con i sottotitoli in inglese, mollemente adagiati su sdraie imbottite saranno stati in cinque. I castigliani suonano la chitarra e cantano, i cinesi osservano, i giap fotografano, tutti fotografano ed è un rincorrersi di selfies. I tram passano lunghi e scuri tra il riflesso dell’acqua e i bianchi palazzi della piazza. Provo a fare qualche scatto… Se avessi la reflex, gli obbiettivi e il cavalletto… Forse verrebbe qualcosa di passabile. La notte scorre pigra, languida e tranquilla ed è solo increspata dalla vista dei grandi cubi gialli di cemento per impedire l’ingresso dei camion da guerra guidati da “voi sapete chi”. 

[Place de la Bourse]

[Bordeaux]

 

6 – da Bordeaux a Lacanau Océan - km 66 (L’apoteosi della ciclabilità)

 

Esco da Bordeaux non senza problemi di orientamento, alcuni lavori sulle strade peggiorano la situazione, ma a Saint-Médard-en-Jalles trovo la ciclabile per Lacanau Océan che è l'apoteosi, secondo me, della ciclabilità. Grande Benvenuto del Dipartimento della Gironda, fondo impeccabile, profusione di segnaletica e colori, ti annunciano gli incroci con la viabilità ordinaria e il successivo stop. Io mi fermo ma...

Magia delle magie…

Si fermano anche loro, sempre, unica eccezione i camionisti polacchi, che comunque non sono migliaia. Da queste parti le ciclabili sono cose estremamente serie, nei dipartimenti Gironde, Tarn et Garonne, Lot et Garonne hanno la classifica di Routes Dipartimentales con i loro cippi chilometrici e la manutenzione che meritano. Inizia a piovere abbastanza, gioco con le ghette, i pantaloni e la giacca impermeabile ma la pioggia veloce come è iniziata è già finita. Scorrono villaggi ognuno con il suo parco pique-nique e per far giocare i bambini, a Lacanau centro costeggio il lago con campeggi deserti e barche arenate sulla spiaggia, entro nella pineta, pedalo sopra la duna costiera.

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L’arrivo all’Oceano è quasi inaspettato, la ciclabile passa sotto due piccole gallerie circolari, interseca la Velodysée, si mischia con l’area pedonale, in fondo oltre la piccola rotatoria una scala di legno, oltre la plage central l’emozione del Mare Oceano e la sfericità della nostra piccola Terra. Oltre la sabbia e le onde fragorose e bianche nulla fino a Terranova e alla Nuova Scozia passando per i territori francesi di San Pierre et Miquelon, 4445 chilometri di scura e liquida vita e pesci e balene e…Sono felice come un bimbo, sono venuto fin qui per questo, sondare l’immenso e immergermi nel suo magico flusso occidentale.

Mi volgo indietro, il vento fresco e forte tende le bandiere e le palme spelacchiate, Lacanau Océan e deliziosamente retrò e fuori stagione, le gelaterie italiane chiuse, la maggior parte dei ristoranti chiusi, i condomini lineari e anonimi danno un vezzo di semplicità.

Nulla della nobiltà e dell’eleganza del Mediterraneo, nulla della spocchia alla moda della Costa Azzurra è rimasto in questo viaggio a occidente. Non barche alla fonda, né blogger bionde, né stelline del web, né i mafiosi russi e nemmeno sceicchi grassi con le mogli vestite da nere pipistrelle.

Il mio albergo è essenziale, ma proprio sopra le onde, oltre la mia finestra e la terrazza solo il percorso pedonale e il Mare Oceano che mugghia, soffia e ulula alla Terra per tutta la notte. 

“Che figata!”

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[Lacanau Océan]

[Lacanau Océan]

 

7 – da Lacanau Ocean a Biscarrosse Plage - km 92 di cui 6 in battello (La Velodysée…)

 

“Corrado ha perfettamente ragione!”

Non bisognerebbe perdere nemmeno un centimetro della Vélodysée che borda l’Atlantico francese fino al confine con la Spagna. Il percorso è curatissimo nel fondo e nei segnali, si muove in un affascinante ambiente di pineta con un tenerissimo saliscendi sopra la duna costiera, a tratti lambisce l’Oceano per poi allontanarsene, grandi corbezzoli graffiano di rosso e di arancione il verde del bosco e fanno ombra su gradevoli panchine. Da Lacanau Océan fino a Cap Ferret è una festa entusiasmante. Prendo il battellino fino ad Arcachon, gradevolissima e chiarissima cittadina allungata tra Oceano e bacino interno con una grande attenzione per i ciclisti, piste dedicate ad ogni giro di pedale e addirittura, sulla spiaggia, due percorsi di legno direttamente sopra la sabbia, uno per le bici uno per i pedoni, bordati di lucine blu, come quelle di piazza Unità d’Italia a Trieste, per la guida notturna.

[Velodysée]

[Arcachon]

[Arcachon all sbarco dal battello]

[Dune de Pyla]

Ho interesse ad andare alla Dune de Pyla non tanto per le sue orrende bottegucce di ciarpame, di gelati e di boissons fraiches ma perché ho un conto aperto con lei da un sacco di tempo. Chiuso il conto con la montagna di sabbia bianca che incombe liquida sopra l’Atlantico, mi muovo ancora verso sud per la Velodysée che subito entra nella D218, guadagna ancora il bordo dell’Oceano alla Plage petite Nice e alla Plage de la Lagune. Tutto è molto wilderness, la costruzione dei servizi, i tavoli sparsi, poche auto e qualche camper parcheggiati sotto gli alti pini e poca gente a piedi fino alla spiaggia lontana e larghissima. Oggi l’Atlantico è calmo quasi piatto. Il mio viaggio è alla fine. Voglio fare un’ultima cosa prima di iniziare il lento ed elaborato ritorno a casa, il devoto pellegrinaggio nel sito dove feci un memorabile bagno con i miei figli ancora piccoli in un Oceano più serio e più drammatico di quello di oggi. Volgo ancora, la ruota della mia fedele Salsa Vaya verso sud sopra la Vélodysée.

“A bientôt!”

 

Levitate et Prosperitate a tutto lo Vasto Mondo.

 

De la Media Marcha  - 9 ottobre 2017