SARDEGNA

Da nord a sud, tra settembre e ottobre, alla ricerca di chiese romaniche e vecchie miniere

 

 

 

 

Sono sceso a Terranova (che, non so perché, si è dato il falso nome di Olbia), ma non ho    preso la corriera che in sole cinque ore, attraverso la speciosa Baronia, ti sbarca, come se niente fosse, a Nuoro. A Nuoro, come alla Mecca, non si arriva senza una lunga preparazione di spiriti e di cose: e    poi, se non si è uccelli o cacciatori, non si viene dal mare. Ho fatto, more nobilium, il lungo  giro di Chilivani e Macomer (augusti nomi che certamente quando Roma non, e ora, col    trenino a buoi, sfiorato il Goceano, varcata  la dolente valle del Tirso mi accingo all'arrampicata.

Salvatore Satta - 1951

 

E che sarebbe la Sardegna senza questi vento? Questo vento che fa piangere i pastori.

Giba  (CI) - ottobre 2013
   

 

Traccia del percorso:

http://www.bikeroutetoaster.com/Course.aspx?course=618632

 

Foto:

http://www.flikr.com/photos/84442834@N03/sets/72157636323656254/
 

 


Antefatto

Sabato 28 settembre 2013. Dopo 2500 chilometri fatti insieme io e la mia Salsa Vaya ci siamo affiatati. Ho cambiato e ruotato la pipa, alzato il manubrio, spostato la sella. Ora ci viaggio sopra da gran signore. L'unica incertezza è che, per oscuri motivi di “tiraggio” tra i comandi Shimano 105 e cambio XT, ho una tripla 50-39-30 e non una più generosa come avrei preferito. Le salite mi mettono sempre ansia. Questa volta parto per la Sardegna. Devo risolvere un vecchio problema: i pisani hanno insegnato il romanico ai sardi o è vero il contrario? Ho pensato un percorso lineare, sulla carta esteticamente passabile: da nord a sud, al centro dell'isola. La Sardegna non è un luogo di mare. Poi andrò alla ricerca di chiese romaniche e di vecchie miniere fino all'Iglesiente, ritornerò quindi a casa da Cagliari.


1  Da Olbia a Ozieri (SS)
Km 116 – dislivello in salita 1417 metri

Sbarco ad Olbia, da Civitavecchia. L'arrivo non è entusiasmante. È ancora buio, una pioggerella e un caldo appiccicoso mi accolgono malamente. Come da copione seguo pedestremente le indicazioni per le auto e sbaglio strada. Poco più in là si eleva un colonna di fumo nero, poi si ode uno scoppio. Segue una girandola di sirene di pompieri e carabinieri che accorrono. Devo tornare indietro e raggiungere il centro. Per evitare il camion incendiato e le sue alte fiamme sono costretto ad una lunga deviazione nella zona industriale a nord. Prendo finalmente la vecchia strada per Tempio Pausania. Passo comodamente Telti e Calargianus.  Ci sono salite, la tripla sembra che vada egregiamente. Altra nota positiva, non ci sono i cani randagi e i cani dei pastori hanno paura dei ciclisti. Uno mi ha visto ed è scappato veloce oltre il recinto. La strada si fa più trafficata fino alla serissima e granitica Tempio Pausania, dove mi fermo in un tavolino all'aperto di un bar per il pranzo. La bici è in bella mostra e la bandierina azzurra del Cicloviaggiatore attira domande. Quindi percorro la strada idilliaca, in una foresta di pini, che sale verso il monte Limbara. L'arcaica  spina dorsale dell'isola qui si solleva ossuta fino alla mia vista. Ovunque fontane di acqua buonissima con tanto di certificati chimici della ASL affissi. Il passo non è alto ma mi regala una gran discesa di almeno 15 chilometri fino al lago Coghinas che con le sue baiette e le sughere fa tanto Alentejo e Portogallo. A Oschiri prendo  un bel acquazzone ma non è ancora tempo di fermarsi. Vado fino a Ozieri.


2 Da Ozieri (SS) a Orani (NU)
Km 75 – dislivello in salita 1398 metri

Esco e percorro in ripida discesa le strade acciottolate e in ripida discesa di Ozieri con i ragazzi delle scuole. Salgo sopra il paese dietro un furgone esausto dallo scarico nerofumo e sulfureo. Appena imbocco la provinciale per Nugheddu san Nicolò sono in un altro mondo: colline verdi e silenzio fino a dove si riesce a guardare, ogni tanto greggi di pecore a volte allineate testa a testa sulle lunghe linee bianche  di mangime che i pastori disegnano sui preti verdi. Superata una prima cresta e la successiva discesa,  oltre la  la Casa Forestale Fiorentini, la strada sale in un bosco perfetto, come quello delle favole. Arrivo al culmine della catena del Goceano, il nome mi ha affascinato fin da quando ho iniziato a pensare a questo viaggio. Una catena montuosa e boscosa che suona come l'oceano e che richiama migrazioni di Goti. La vista verso la pianura orientale è satura, speziata e drammatica. Mi fermo a fare delle foto ma come può la mia piccola fotocamera contenere la Sardegna?
Si fermano a fotografare anche dei motociclisti tedeschi con le loro BMW da enduro. In tutto il nord della Sardegna ne incontrerò a centinaia.  Prendo quindi una stradina che si arrampica fino a dentro il bosco demaniale di Anela. Era asfaltata un tempo o meglio cementata ma ora il fondo è di pezzi di cemento appuntito e terra. Per il resto sono dentro una fiaba e come Cappuccetto Rosso attraverso il bosco fino a raggiungere la strada asfaltata che scende ripida a Bono, la capitale del Goceano. Mi fermo al ristorante dell'albergo Monte Rasu e trovo una numerosa comitiva di tedeschi. A Bottidda  scendo verso valle per attraversare il fiume Tirso e intercettare la tranquillissima SS 129 che verso est di dirige a Nuoro. Poco dopo la stazione di Oniferi la lascio per la strada che sale verso la Barbagia, passando per Oniferi e Orani. Il pomeriggio si fa deserto, inizio a guardarmi in giro per fermarmi ma non c'è nessun segno di ricezione turistica. Poco prima di Orani chiedo.
“Non c'è nulla fino a Fonni” 
Chiedo ancora:
“Nemmeno un Bed & Brekfast?”
Loro allargano gli occhi, forse stupiti di questa mia nuova richiesta.
Trovo poi il cartello di un agriturismo. Telefono. Mi prendono. È a circa due chilometri su per una salita da impiccati, prima asfaltata e poi di sabbia e terra.

3 Da Orani (NU)  a Aritzo (NU)
Km 70 – dislivello in salita 950 metri

La Sardegna di oggi sarà la più austera, essenziale e silenziosa che abbia incontrato. A volta sembra che stia muta a guardarti passare sopra di essa senza che tu riesca a scalfire nemmeno il più piccolo truciolo della sua  conoscenza.
“A noi Barbaricini non ci hanno domato ne i Cartaginesi, ne i Romani ne i Carabinieri.”
Mi ha detto qualche anno fa la ragazza bellina dell'albergo di Abbasanta.
Parto presto, devo scendere fino a Orani per poi risalire per Sarule fino a Gavoi dove compro il pranzo e incontro per la prima volta il furgoncino VW svizzero con mamma e figlia piccola. Ci rincontreremo per tutto il giorno ad ogni paese fino ad Aritzo. Il paesaggio è molto bello e verde con lontane colline e valli. Il percorso, per attraversare una orografia e conseguente idrografia bizzarre, è fatto di continue lunghe salite e altrettante lunghe discese. Scendo fino al lago di Gusana, gli giro intorno completamente  e poi ancora in salita per poi scendere a Ovodda e Tiana. Ancora salita per raggiungere i mille e cento metri di Tonara e scendere ai 550 del fondo valle e risalire ancora a Belvì  e ad Aritzo.  Gli ultimi tre sono luoghi di villeggiatura montana con case di scisto ben tenute e murales ridipinti e ci sono molti alberghi più o meno aperti. All'albergo moderno siamo tutti viaggiatori a due ruote: io, due tedeschi con i baffi e Harley-Davidson, due tedeschi senza baffi con BMW e nove coppie di francesi con motociclette varie.


4 Da Aritzo (NU) a Dolianova (CA)
Km 101 – dislivello in salita 750 metri

La mattinata è fresca. Siamo in montagna, fino a tutto l'800 Aritzo prosperava con la vendita della neve che trasportava fino a Cagliari. Salgo fino al punto più alto del viaggio, il valico di Sa Casa a metri 1042. Verso est scende verso Gadoni una valle selvaggia e verde verso la miniera di Funtana Raminosa. Il valico non è ardito ma di là c'è tutta la Sardegna che non ho visto. Una bellissima strada a belle curve e discese arriva fino a Laconi e quindi a Nurallao. Il paesaggio cambia: non più montagne ma larghe colline argillose e piattaforme basaltiche e pianure polverose di agricoltura estensiva. Oltrepasso Isili, non c'è più una salita ma non si trova più acqua. Prima di Mandas devo sostare  ad un passaggio a livello per vedere passare sui binari a scartamento ridotto una arcaica e meravigliosa motrice a gasolio che meriterebbe sicuramente un viaggio. Vado giù veloce, passo Mandas, Suelli e Senorbì. Abbandono la statale per toccare Barrali e Donori che mi regalano ancora delle salite e poi arrivo a Dolianova dove trovo la cattedrale romanica di San Pantaleo, di una calda arenaria rossa e rugosa; é pisanissima nella parte bassa ma poi termina come fosse una capanna. 


5 Da  Dolianova (CA) a Iglesias
Km 117 – dislivello in salita 850 metri

Tappa di studio. Mi aspettano almeno  tre chiese romaniche e le vecchie miniere del bacino piombo zincifero di Iglesias. Passo Serdiana, qualche chilometro verso ovest e raggiungo la chiesa di Santa Maria di Sibiola tenerissima e piccola gioia a due navate in mezzo alla campagna. Seguo la via deserta per Assemini  che, nelle vicinanze delle due strade a quattro corsie che da Cagliari si dirigono a nord e a ovest, non ha più l'asfalto. L'avranno preso per fare quello delle grandi strade? Passo Assemini e Decimomannu e fino a Villaspeciosa sono costretto a qualche chilometro di grande strada.  San Platano di Villaspeciosa, dentro un parco recintato e tenuto a erbetta verde, mi fa trasalire per la sua potenza. Pur piccolissima e costruita con pietre e marmi raccolti qua e là, pur con il suo campanile a vela da bambini e la sua scala laterale da granaio emana una eleganza e signoria esagerate  che nemmeno la liscia e algida San Pietro a Roma raggiunge. É la volta di Uta. La guida promette che la Chiesa di santa Maria è una dei più belli e importanti monumenti romanici della Sardegna e l'ultima edificata dai Monaci Vittorini di Marsiglia.  Arrivo e sembra di essere sulla ripa dell'Arno a Pisa davanti a San Paolo. Più piccola di quella ma, ai miei occhi, uguale. Rimango un poco imbrigliato in quella strana tela tra Bisanzio, Pisa, la Provenza e il Campidano.
Per raggiungere l'ovest, una bella strada provinciale in ricchissimo favore di vento mi spinge fino  a  Siliqua e poi ancora sull'unica strada a quattro corsie. Proprio qui ho problemi alla ruota anteriore che mi costringono a cambiare la camera d'aria. Arrivo a Domusnovas e anche la ruota posteriore si sgonfia. La gonfio a vado avanti fino alle grotte di san Giovanni: uno strano pertugio di 800 metri nella montagna, percorribile solo a piedi o in bici o per chi ha il permesso. Oltre la galleria inizia un ambiente naturale, a mio avviso, ancora selvaggio,  quasi primordiale con boschi fitti e ombrosi e torrentelli che scendono dalle dirupate montagne e grandi prati verdi. Dovrebbero esserci due strade che con variabili lunghezze e pendenze compiono un ampio arco e raggiungono Iglesias. Scelgo la più lunga che passa par le vecchie miniere di Sa Duchessa.
Prima, all'imbocco della galleria, i Forestali mi avevano detto  che il mio percorso:
“È strada di montagna, molto lunga per andare a Iglesias. Ti conviene la strada asfaltata.”
Ma io ho la testa dura e gli ho chiesto:
“Arriverò a Iglesias prima di notte?”
Loro rispondono in coro:
“Siii!”
Ma oltre la galleria non ci sono solo due strade ma tante, Quale prendo? Non c'é nessuno in giro.
Solo alcuni tedesconi con la loro moto da enduro. Sostituisco anche la camera d'aria dell'altra ruota e intanto il tempo passa
Ricordo a tratti le indicazioni:
“Non andare per l'agriturismo che finisce.”
Ma quella è asfaltatissima e la mia e piena di graniti appuntiti e fango e buche e intanto il tempo passa. Vado avanti, è la strada giusta.  Arrivo alla miniera di Sa Duchessa. Oltre la salita è cattiva, sono costretto a scendere e spingere la bicicletta varie volte e la velocità media diminuisce e il tempo passa, la luce diminuisce. Il bosco è fitto e la salita è lunga. Recito il mantra che mi insegnò il monaco tibetano David Baroncin Rinpoche tanti anni fa nello Zanskar:
“Cielo vedere …. Salita finire. Cielo vedere …. Salita finire. Cielo vedere …. Salita finire. Cielo vedere …. Salita finire.”
Il bosco è sempre fitto e più scuro e il cielo è cosi lontano. Vado avanti. Arrivo infine al cielo inaspettatamente ancora chiaro e alle case di Tinì. La salita finisce. Scendo  giù per un  percorso assolutamente singolare. Un sentieraccio terroso e sassoso ma con tanto di paletti con catarifrangenti come le strade serie e assurdi cartelli di lavori in corso. Mi perdo in mezzo alla macchia, riemergo e scovo il villaggio minerario abbandonato di Arenas. Due file di casette più o meno cadenti di qua e di la della strada, Inizia a serpeggiare l'ipotesi di trovare un riparo per la notte. Trovo bene o male la strada con segni di passaggi recenti, il paesaggio si allarga in un altopiano con enormi sbancamenti dei fronti di scavo delle miniere, ancora edifici in muratura con scheletri metallici dei tralicci degli ascensori dei pozzi verticali.  Vado avanti. Più in basso c' è un laghetto. La mia traccia sullo schermo del GPS del Garmin si muove dentro un bosco assoluto, nemmeno una delle molte stradine che vivono in questo posto è segnata. Eppure il paesaggio è affascinante, picchi granitici, boscaglia selvaggia e le ferite beanti delle miniere e le forre su cui scorre il torrente. Vado avanti, dietro una costruzione si sente rumore di trattore e sega. Vado e chiedo qual'è la strada per Iglesias.
E l'uomo mi fa:
“Ma ci devi andare con la bicicletta?”
E io:
“Solo questa ho!”
E lui, ancora:
“Stai attento a non sbagliare. Tieni sempre la strada di destra, quella più trafficata. Vedi quella sella vicino al traliccio elettrico? Devi salire fino a lassù.”
Gli domando eccitato:
“E poi di là c'é la strada asfaltata?”
La riposta mi assassina:
“No ancora sette chilometri di queste strade ma la salita è solo di tre chilometri e mezzo.”
Che palle ! Me l'avevano detto. Me la sono cercata.
Vado su con rapporti impensabili in situazioni normali. La salita finisce, il mondo è tutto buio.  Mi tolgo gli occhiali rossi d'ordinanza e metto quelli da notte, la situazione migliora un  poco ma meno di quello che mi aspettavo. Mi butto giù in discesa a rotta di collo per sassi e fossi con la mia Salsa Vaya che mountain bike non é ma si comporta egregiamente e si comportano egregiamente gli pneumatici Marathon Racer che non sono stati progettati sicuramente per questi posti.
“E bravo il signor Schwalbe.”
Ora è buio pesto anche con gli occhiali da notte, non si vede più una mazza, le pendenze sono molto accentuate e ci sono tornanti. Più in basso  il fondo si fa terroso e sabbioso, entro un un torrentello che incrocia il mio percorso, il tracciato si fa più piano e finalmente in fondo i lampioni della luce artificiale e la strada asfaltata e automobili e case. Chiedo all'uomo a spasso con il cane.
Sono arrivato al villaggio di S. Benedetto. Fino a Iglesias solo strada asfaltata, solo una decina di chilometri e come mi dice precisissimo ma preoccupato:
“È al novantantapercento in discesa ma non è illuminata.”
Vado giù in grande festa fino a piazza Sella. Il maestro dell'albergo Artù mi fa
“Sei stato ad Arenas! Complimenti! Io...Lassù sono nato!”


6 Da  Iglesias a Giba (CA)
Km 89 – dislivello in salita 300 metri

Con la solita testa dura che mi ritrovo sbaglio strada e me ne accorgo tardi.  Ritorno indietro ad Iglesias per riprendere la discesa giusta per la miniera di Monteponi e la costa. La giornata è calda, vedo il mare dall'alto prima di scendere a Portoscuso e all'orribile Portovesme: mostro industriale alieno e autofago che viveva inutilmente di se stesso con la centrale elettrica, che produceva energia per la raffinazione di alluminio che veniva dal mare e tornava sul mare. Ora è tutto fermo alle strade ortogonali chiamate con le lettere dell'alfabeto e alla plastica che svolazza ovunque sospinta da un vento carogna che viene da sud est. Mi aspetta un tratto di caldo, di vento e di ciarpame. Magari prendo il traghetto per Carloforte e poi per l'isola di Sant'Antioco, il mare laverà via il mio scorno. Invece no. Non faccio in tempo a salire e sono costretto ad arrivare al paese di Sant'Antioco contro il vento e dentro un filo di fastidio. Mi riprendo con la chiesa si Sant'Antioco, in cima alle vie dagli esclusivi nomi sabaudi, con ancora riconoscibile l'impronta di Bisanzio e la curiosa entrata dalla biblioteca comunale. Riparto verso sud, vorrei arrivare verso Capo Teulada,, mi dicono che la strada per le saline è chiusa, faccio il giro della laguna, ma il vento è noiosissimo, salto perfino la chiesa romanica di Tratalias, oltrepasso Palmas. A Giba mi fermo.
“Basta!”
La signora mi dice:
“E che sarebbe la Sardegna senza questi vento? Questo vento che fa piangere i pastori.”
Per tutta la notte il vento farà risuonare i palloncini rossi e tutti gli altri ciaffi attaccati davanti al negozio cinese dall'altra parte della strada.


7 Da  Giba (CA) a Cagliari
Km 75 – dislivello in salita  450 metri

Cambio itinerario. Non vado verso il sud e la costa, l'avevo detto che la Sardegna non è un posto di mare, ma verso est per Piscinas, Nuxis e Acquacadda fino a scavallare le montagne del Sulcis e le colline a sud del lago di Cixerri  e ridiscendere  nel Campidano industriale e periferico. Il viaggio è finito. Arrivo a Cagliari per un' orribile strada a quattro corsie. Ad Elmas provo ad uscire per una strada più civile ma non c'è nulla da fare. Ripiombo nella E25 fino a dentro il centro.  È presto per la nave ed  è presto anche per acquistare il biglietto. Tanto vale prendermi un tranquillo pranzo in uno dei ristoranti del quartiere davanti al porto. Ce ne sono a decine, con i tavoli sulle stradine pedonali, con tanto di galoppini che ti chiamano in tutte le lingue del mondo. Ci metto molto a scegliere quello giusto, con il posto per la bici, che non sia troppo figo ma nemmeno sfigato. Il cameriere davanti al ristorante Corallo accoglie me e la bici con simpatia, l'insegna declama “cucina tipica sarda dal 1881”. Agli altri tavoli ci sono clienti sardi. L'insalata di polipo è ottima. Scopro che negli anni 70 era frequentato dalla squadra di calcio di serie A del Cagliari con tanto di Gigi Riva. Scopro anche che quel cameriere è l'unico sardo, la gestione è cinese, il personale parla un buon italiano con cadenze sarde e infarciture di Eja e Ajò. Alla fine mi rendo conto di essere capitato in altra situazione di felice contaminazione. Bighellono con la bici in giro per Cagliari e scopro per caso dietro un parcheggio di un supermercato e dentro un'area privata la minuscola chiesa di San Pietro dei Pescatori edificata in calcare bianco nell'XI secolo su un terreno dei monaci Vittorini di Marsiglia. Torno a casa con un dubbio in più sul romanico in Sardegna, oltre i Bizantini e i Pisani ci sono anche i Provenzali.