LANGOBARDIA MINOR - DA TERMOLI A MARATEA
attraverso il Sannio e Benevento, l'Irpinia, il Cilento e il Vallo di Diano

Ottobre 2012 - km 446 -  giorni 5

dislivello positivo 5989 – dislivello negativo 6043

Traccia del percorso:

http://bikeroutetoaster.com/Course.aspx?course=469384

 

 

E dopo Sella di Conza la vita prorompe senza regole, dilaga verso il Tirreno come una scomposta               colatalavica. Fiori enormi di bellezza esagerata, quasi oscena. Gechi rapaci e immobili sui muri e i lampioni. Ramarri verdissimi e aggressivi, protervi come camaleonti. L'aria è        quella grassa, napoletana, degli acquitrini da bufale. E le donne,  soprattutto, non sono più icone greco-bizantine. Ora si arrotondano, sporgono, debordano, sobbalzano, spagnoleggiano, arpionano,        trionfano. Labbroni, attributi e sguardi sancisconola definitiva restaurazione del potere femminile rispetto al celodurismo padano.

Paolo Rumiz – La leggenda dei Monti Naviganti  – 2007

 

Benevento non è Napoli, e ci tiene a farlo sapere.
Già la loro indole, mi fanno notare i beneventani, differisce di molto da quella
del resto della Campania: più dura, più chiusa, più alpina.
I beneventani...trasportano semmai nel Sud qualche caratteristica dei trentini.
Lo stesso clima è freddo, poco campano; gli splendidi panorami della provincia  sono alpestri.

Guido Piovene – Viaggio in Italia - 1957


 

Fatta eccezione per la mia infanzia immemore a Trani, per più di 50 anni non ero mai stato al Sud. Ora la Bicicletta mi ha fatto apprezzare e un poco conoscere questa Italia, troppo facile e scontata vista da lontano e dai soliti luoghi comuni. Vado di nuovo, dopo la Basilicata e la Puglia. Vado alla ricerca dei Longobardi come nel passato per i Visigoti iberici e  con la complicità di Paolo Rumiz (Cicloviaggiatore anche lui) e del suo “La leggenda dei monti naviganti”.

 

1  DA TERMOLI (CB) A TAVERNA DEL TRATTURO (CB)
km 70 -  dislivello positivo 1206 – dislivello negativo 406


Termoli è il mio solito luogo di partenza, per raggiungere gli Appennini ho scelto di passare per Larino e Casacalenda. Percorro la strada del mare (Via Rio Vivo) fino alla zona industriale di lunghi muri e metalli scolpiti nel cielo. Non c'è vita, solo rumori e sibili della tecnica e lenti cartelli degli impianti sportivi della FIAT. Mi fermo al passaggio a livello per il treno delle 12.17 per Campobasso, una sola, poetica, lenta automotrice a gasolio che accetta anche la bicicletta.
Dopo alcune curve in salita, lascio sulla sinistra il teatro romano della vecchia Larinum. Più in basso, sopra un ripido sperone, la città medievale è assolata e solitaria, nessuno in giro solo profili illirici che non rispondono al saluto. Ha ragione Rumiz il Molise è austero e taciturno.
Inizia a piovere, la salita serpeggia sopra creste collinari. A Casacalenda la pioggia si fa fastidiosa. Mi fermo in compagnia dei soliti vecchi che stanno sotto delle pensiline in una piazza con velleità architecniche. Fanno a gara per confondermi le idee sulla strada da percorrere e sulla durata della pioggia in una specie di brainstorming alla molisana:
“Avete fatto metà della strada”
“Fino a Campobasso sono quaranta chilometri, no meno che le curve le hanno tagliate”
“Da dove avete detto che venite?”
“La pioggia è passeggera”
“Fino a Campobasso non ci sono posti per dormire”
“Con la strada nuova farai meno chilometri”
“Segui la ferrovia”
“pioverà tutta la giornata”
“E perché non fate la Bifernina, abbiamo la bifernina, fate la bifernina!”
“su per la salita ci sono solo negozi di materiale elettrico”
“ma no, la Bifernina è pericolosa”
“ è tutta discesa fino a Campobasso”
“Avete detto che poi andate a Benevento”
“No c'è anche la salita.”
Lì con loro siede un nord africano che sta sempre zitto e poco più in là, da solo, lo stronato del villaggio. Vado verso Campobasso per la strada vecchia e deserta, la pioggia non mi abbandonerà fino alla sosta ma va e viene tanto per tenermi occupato a pensare a lei.
Mentre percorro un viadotto, uno di quelli che accorciano la strada vecchia, incrocio  un'auto. Sono in due mi fermano, il guidatore abbassa il vetro e mi fa:
“Per Nomedelpaesechenonricordo?”
“Non so non sono di qua.”
“Non sei di qua?”
“No.”
“Di dove sei ?”
“Di Ancona.”
“E che sei venuto a fare quaggiù?”
“Vado  a Campobasso.”
Con un sibilo lungo e sonoro mi fa
“Ciaaaao!”
E se ne va. Continuo, la pioggia mi viene a noia, incomincia a fare scuro, sono costretto a togliere gli occhiali d'ordinanza, con le lenti rosse, e mettere quelli da notte. A Campobasso mancano 17 chilometri. A Taverna del Tratturo, l'hotel Tratturo è lì asciutto con la porta elettrica che si apre appena mi vede. Mi fermo. Non sono il solo ospite, ci sono anche tre anziane signore inglesi. Cosa faranno a Taverna del  Tratturo – Campobasso – Molise - Lombardia Minore – Italia?


2 DA TAVERNA DEL TRATTURO (CB) A BENEVENTO
km 105 -  dislivello positivo 1356 – dislivello negativo 2055

Ho venduto Campobasso, la grande città capitale del Molise, per una serie di paesi variabilmente appollaiati sopra alte colline. La strada che li collega è gentilissima, una breve discesa mi fa guadagnare Campolieto, la farmacia è ancora chiusa, apre alla 9,30. Davanti alla chiesa stanno smontando una struttura come quella dell'orchestrina dello zocalo messicano e si lamentano di questo ottobre troppo caldo, ancora da calzoni corti. Prima di San Giovanni in Galdo un sorprendente cartello mi fa deviare a destra fino ad un tempio sannita del II secolo A.C. In paese, la farmacia è aperta. La gente per il corso ha già perso la cadenza cantilenante adriatico-abruzzese e prende degli spunti tirrenico-campani. A  Campodipietra sbaglio strada chiedo ad un signore con il basco che sta per salire in automobile.  Lui lui mi fa:
“Seguimi”.
E parte sparato in salita con la Fiat Tipo. Io caracollo dietro, lento per la rapida salita acciottolata. Non lo vedo più. Accidenti! Se ne sarà andato. Invece no. Mi aspetta accanto all'auto, in piazza, da dove si stacca la strada per Jelsi.
“Vai in discesa fino alla grande strada Campobasso-Foggia, passagli sotto e poi in salita e ancora in discesa e ancora in salita fino a Jelsi”.
Su quelle colline mucche al pascolo e mosche fastidiose. Prima del paese sepolture preistoriche. In cima il castello con il palazzetto ducale e la chiesa. La gente cambia ancora il modo di parlare e per la prima volta, abbandona  l'austerità e il silenzio e mi saluta. Mi fermo a comprare cibo in un forno-alimentari... e poi arrivo a Riccia, borgo più grande e dalla urbanità complessa.
Una salita mi porta allo spartiacque ombroso e boscato e poi a Colle Sannita. acciottolata e ciarliera.  In piazza due ragazzi mi accolgono con un ciao gridato e cristallino
“No non prendere l'acqua da quella fontana vai in quell'altra”.
Ancora una lunga discesa fino a Reino e quindi salita per raggiungere Pesco Sannita, costruta sopra un   sassone, una roccia, appunto un pesk. Mi fermo vicino ad un campanile tecnicissimo post terremoto e la signora mi avverte di non passare di lì che ci sono solo le scale ma di andare di là oltre le chiesa ma in dialetto assolutamente poco adriatico tanto che capisco solo attraverso il suo gesticolare. Fotografo alcuni scorci e vicoletti in salita e un gattone alla porta e mi siedo in piazza.
Passa un ragazzo e mi chiede:
“You swedish?”
“No sono italiano.”
Si volta verso altra gente dall'altra parte della piazza e urla:
“Non è svedese, è italiano!”
Vado a ciacolare con loro, diamine!
Sono due... Alla fine le indicazioni sono precise. Per la scorciatoia faccio un poco di salita ma non vedo nulla. La strada normale non ha salite ma potrò vedere Pietrelcina, la città di Padre Pio.  Anche lui come le greggi in transumanza dalle colline del Sannio fino alla Capitanata e al Gargano, o come i pellegrini Longobardi da Benevento a Monte San Michele. Preferisco la normale, ma la salita c'è. Mai fidarsi della percezione dei dislivelli dei non ciclisti! Una lunga discesa mi conduce a Benevento, città bella e tranquilla. Dapprima orgoglio della Italica civiltà Sannita che tenne testa ai greci e poi ai romani. Chi non ricorda l'inaudita sconfitta e lo “sputtamanento” delle legioni nella valle Caudina? Magari non tutti sanno che esiste anche un pettegolezzo che narra la nascita della “pernacchia” come rumore fatto dai sanniti che ingiuriavano ulteriormente i soldati di Roma. In seguito Benevento fu imperialmente e trionfalmente romana con l'arco di Traiano, il teatro e ai bordi della via Appia Traiana. Ma il massimo dello splendore venne portato dai Longobardi, barbari delle steppe asiatiche e pannoniche, che hanno saputo creare una cultura sincretica tra rigore del nord e inventiva mediterranea che ci sarebbe di nuovo tanto necessaria oggi.
La sera piove molto, le strade in discesa diventano torrentelli in piena. Nunzia, la signora della trattoria mi presta un grande ombrello. Lo potrò  lasciare tranquillamente in albergo, passerà lei a prenderlo da Giovanna. “Grazie Nunzia”.


3 DA BENEVENTO A PONTEROMITO (AV)
km 70 -  dislivello positivo 1125 – dislivello negativo 843

Al mattino mi precipito nel massimo orgoglio della città, il convento di Santa Sofia (sede del Museo Provinciale del Sannio ricchissimo e ben tenuto) fatto costruire dal Duca Arechi II nel 700 per sua sorella Gariperga che ne fu la prima badessa.  Il complesso vive attorno al chiostro, ora romanico, che con la sua selva di colonne dai capitelli scolpiti e tutte le loro simbologie numerologiche mi ha rapito per molto tempo. La chiesa di Santa Sofia, la cappella personale di Arechi, è alla fine sorprendente e magica, addirittura straziante. Vive attorno ad una geniale intuizione di una doppia geometria: un esagono di colonne corinzie dentro un decagono di pilastri di mattoni e pietra. L'intrigo delle forme e la cupola centrale generano spazi e prospettive cangianti, immagini, forme, ricordi, sensazioni vari e irripetibili se ti sposti ma anche se ritorni sullo stesso luogo una seconda e una terza volta. In definitiva ci ho perso tutta la mattina.
Il resto è grande storia. L'arco di Traiano che non è sfacciatamente trionfale perchè l'imperatore è raffigurato impegnato in attività sociali e di pacificazione e non a scannare nemici. Il teatro romano ancora tenta di nascondersi dietro edifici che gli stanno addosso. Del gigantesco duomo medievale rimane solo la facciata. Il resto è stato bombardato dagli alleati nel 1943 e ricostruito come se fosse uno palazzo dello sport. Anche i fiumi di Benevento sono impregnati di storia e leggenda. Il re Manfredi nel 1266 a Benevento perse la sua ultima battaglia contro gli intrighi del Papa. Fu sepolto dal vincitore, Carlo d'Angiò, vicino al ponte sul fiume Calore ma poi subito dissotterrato dagli sgherri di Clemente IV affinché non avesse una sepoltura da cristiano ma un trattamento da infedele come suo padre Federico. Lo sgarbo papale intenerì persino Dante che lo incontra nel purgatorio:
«L'ossa del corpo mio sarieno ancora
In co del ponte, presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.

Or le bagna la pioggia e move il vento
Di fuor dal regno, quasi lungo il Verde,
Dov'ei le trasmutò a lume spento.»

Il Fiume Sabato addirittura è il pertugio da cui fuoriescono le streghe che attorno ad un albero di noce hanno i loro sabba e producono il loro malefici e incantagioni... Anche qui la nostra cultura ha generato una montagna di morti per il frutto e con la scusa della solita becera “integrità cattolica”. Il Longobardi, cristiani ma ancora legali ai riti ancestrali galoppavano attorno al noce in favore del dio Wotan. Agli integralisti cattolici di allora sembrò “cosse da foresti” ma da allora, ancora oggi diamo fuoco alle streghe.

“unguento unguento
mandame alla noce de benevento
supra acqua et supra vento
et supra omne maltempo”

Ho fatto mezzogiorno, mi rimane meno tempo per viaggiare. Oggi vorrei arrivare fino a Lioni. Esco in salita dal centro storico, passo l'ospedale. Poco dopo inizia una provinciale ma la strada non è quella giusta. Torno indietro e prendo la SS 7 Appia che fino a S. Giorgio del Sannio è trafficata. Il ciclista che incontro in centro ha una bellissima bici francese e una sella SMP come la mia (ha detto tutto lui, anche quanto ha pagato la TIME). È molto tecnico.
“Ora hai 11 km di discesa fino al ponte sul Calore, poi 3 km di pianura per la valle e poi 4 di salita fino a Taurasi e poi scollini. Ci arrivi di sicura a Lioni”
Il paesaggio irpino è inaspettato: colline intensamente curate e capillarmente antropizzate, verdi e ricche di acqua e strade, macchiate da boschi e giù a ovest le creste seghettate delle montagne. Tanto per rimanere in tema di nobiltà enologica nulla di meno rispetto al celebratissimo Chianti o alle intoccabili Langhe. Anzi...
Il borgo di Taurasi è nobilissimo e accogliente racchiuso nella sua cerchia murata. Entro dalla porta orientale e ricevo sorrisi da mamme e da nonne. Alcuni bambini fermano il gioco del calcio per la strada per far passare “O Ciclista”. Dall'altra parte oltre l'arco, in un piccolo spiazzo che permette la vista sull'infinito mondo, aiuto, spostando una transenna caduta, un signore a parcheggiare la sua “Scassona” una Alfasud rossa della fine degli anni 70, un anziano ed elegante signore. Alla fine del lavoro nota il mio abbigliamento singolare con i calzoni corti, il casco e i mezzi guanti.
“ In bicicletta fino a quaggiù? Da Solo?”
Mi fa una cascata di complimenti, mi stringe più volte la mano come se fossi un eroe mitologico o Orlando tornato dalla Luna.
Lascio Taurasi, lambisco San Angelo all'Esca e Fontanarossa, tocco Paternopoli per aperti percorsi di cresta e per graziosi saliscendi fino a Castelfranci. Mi fermo davanti al cimitero. Chiedo la strada per Lioni, meglio parlare con la gente che guardare la muta carta. Vado dove mi dicono, il cartello stradale conferma “Lioni”. La strada scende, scende ma doveva rimanere in quota. È la strada per le auto e la gente, se non gli dici che nei posti ci devi andare in bicicletta, anche sei seduto sopra la bicicletta, ti manda fare la strada delle automobili perché è così, e poi avere una strada veloce, a quattro corsie, con lo spartitraffico e gli svicoli è un vanto, tutti i paesi ne dovrebbero avere almeno una nel loro territorio comunale e tutti ne dovrebbero godere. La frittata è fatta, sono arrivato al fondo valle, non mi resta che risalire il Calore fino a nuove indicazioni. Arrivo a Ponteromito. Mi fermo, tiro fuori dalla borsa la carta al 200.000, chiedo alla gente con la precisazione “con la bicicletta”. Ho tre possibilità: andare avanti e andare incontro alla notte e a qualcos'altro di peggio sulla strada che studia da autostrada, andare incontro alla notte per una salita da impiccati fino a Nusco e poi oltre, ritornare indietro e andare incontro alla notte per la statale n 400.
“Ma che magò! E chi ho mazzato? Ma oggi ho fatto solo 70 chilometri. Si Ma so' partito tardi! Ma con chi me devo giustificà? Vo in giro dappermè per fa' quello che me pare. Me potrò fermà quanto me pare!”
Trovo un sontuoso B&B e un simpatico, bravo e ciarliero ristoratore che mi racconta un sacco di cose sulla sua Terra che, vista da quella tavola, assomiglia al mio amato Portogallo. Infatti mi propone uno splendido “Bacalhau a moda da Irpinia” accompagnato da un rossissimo Taurasi, alla faccia della mia patente di sommelier. Tanto no' famo quello che ce pare!


4 DA PONTEROMITO (AV) A POLLA (SA)
km 97 -  dislivello positivo 1266 – dislivello negativo 1310


Giornata solitaria. Sono stato muto fino alle 13, quando sono entrato nel negozio del cibo a Contursi Terme. Torno indietro nella fresca mattina fino a incontrare di nuovo la statale n 400 che prendo in salita verso sud. Dopo il bivio di Torella dei Lombardi e di Sant'Angelo dei Lombardi si disvela un paesaggio letteralmente aperto in due. Verso est lunghe e steppose colline, pelate e poco acclivi vanno verso l'Adriatico con una aria già di Puglia. Verso ovest in fondo le dentellate e alte montagne calcaree dei  Picentini racchiudono una plaga verdissima e varia di boschi, vigne, case sparse, e micritici corsi d'acqua.
Poco dopo inizia la lunga discesa fino a Lioni dentro la testata della valle dell'Ofanto che percorre una larga curva verso sud e verso est prima di decidersi di andare al mare Adriatico su a nord. Non mi fermo, costeggio l'ofantina e quindi scavallo dentro la valle del Sele.  La valle è  stretta, selvaggia di fitti boschi e di imprendibili paesi appiccati in cima alle rocce. Arrivo veloce alle bianche acque termali con l'odore dell'idrogeno solforato di Contursi. Accanto a piscine ed edifici lussuosi e tiratissimi coesistono scheletri deformi in cemento armato di cose incompiute. Su al paese di Contursi-Terme balena un poco di confusione con una infinita girandola di scuolabus vuoti e di Mini cromate da cui fuoriescono improbabili mamme luccicanti e stivalate. Sono oltre la Sella di Conza, lo spartiacque Rumiziano tra nord e sud. Prima era la Svizzera del Sannio e dell'Irpinia ora è Mediterraneo e le donne non sono più “icone greco-bizantine”. E poi dicono che la letteratura è solo letteratura.
Non vorrei arrivare impreparato sulla Salerno-Reggio Calabria, che per le biciclette è un limes impenetrabile, chiedo in giro se ci sono e dove sono i pertugi per superarla e raggiungere il Vallo di Diano. La guardia davanti al Monte dei Paschi non mi dà affidamento. Prima mi dice che devo arrivare   a Battipaglia poi salta fuori un percorso himalayano per San Gregorio Magno e/o Buccino... Anche altre volte ho avuto l'impressione che, anche non sapendo, per non sembrare scortesi, ti danno delle in formazioni a caso.   I due signori che incontro alla fontana di fianco alla banca sono invece tecnici  ed  esaustivi: otto chilometri fino al Bivio di Palomonte e poi discesa fino all'autostrada con passaggio agevole per la statale che costeggia il raccordo autostradale Sicignano-Potenza fino al ponte sul Fiume Tanagro o sul fiume Bianco a seconda del cartello dell'ANAS o della carta.
La salita ora è tosta, con vista su paesi imprendibili, fino a dentro il Vallo di Diano, che nel pleistocene era occupato da un grande lago. Arrivo a Polla con il paese antico buio e spettrale arroccato attorno alle sue chiese e conventi cadenti vicini a ristrutturazioni impeccabili e il borgo attorno al ponte sul Tanagro e  all'ospedale e a condomini anni 70 con alberghi di stile Mar Nero russo-caucasico.


5 DA POLLA (SA) A MARATEA (PZ) -
km 104 -  dislivello positivo 1036 – dislivello negativo 1429


Stamattina è tranquilla debole salita verso sud. Dopo Atena di Lucania, Sala Consilina, vista dalla strada che le passa sotto, è orrenda. Una selva di palazzi “annisettanta”, che sembrano immensi, gli danno una carattere repulsivo. Il traffico è assurdo, l'odore è come quello di Corvara in Val Badia d'inverno, quello di gasolio bruciato. Ma le auto sono tutte lì. Già dopo Trinità la strada torna tranquilla. Riprende la salita a Casalbuono e diventa seria fino al “passo” di Fortino (2 Km al 9%). Proprio in cima alla salita, a destra della strada Mario sta agiatamente impostato su una sedia di plastica e guarda la gente che sale. Sembra che mi aspetti.
“Dura la Salita?”
Come fai a non fermarti...
La discesa verso la valle del fiume Noce è ripida. Il corso d'acqua forse corre in fondo ad una forra profondissima, la supero sopra un ardito ponte ad una campata. Arrivo in centro, a Lagonegro,  dopo una breve galleria. Sono costretto a fermarmi dietro un furgone che non può andare avanti. Una macchina di lusso, una mercedes grigia, è ferma in mezzo alla strada. Il guidatore sta parlando con delle persone sedute davanti al bar. Non succede nulla per un tempo infinito....... Tutti aspettano che il guidatore della mercedes grigia finisca di parlare. Oltre, la piazza è piena di ragazzi usciti dalle scuole che prendono gli autobus per casa, sulla destra, sopra uno sperone roccioso il vecchio borgo medievale. Non mi fermo, non ho voglia, vado avanti. Devo andare a Lauria. Devo passare, con la mitica statale 19,
per Mormanno di Luigi Vittorio Bertarelli, Morano Calabro di Maurits Cornelis Escher e arrivare a Catrovillari e quindi a Cosenza. Un'altra galleria mi blocca davanti alla caserma dei Carabinieri. Devo indossare la giacca e accendere le luci, ma si è rotto qualcosa. Dopo la galleria la leggere salita e quell'ottobre troppo caldo decretano la fine del viaggio.
“Andrea. Sei stanco! Torna a casa.”
L'ordine è perentorio, da eseguire immediatamente. Alle cinque del pomeriggio sono alla stazione di Maratea e dopo le canoniche 23 ore di treno sono a casa. Credevo di avere imparato qualcosa... Ma la conoscenza ha bisogno di lentezza, non è adatta a chi ha delle presunzioni, a chi ha fretta. Ci vuole tempo, ci vuole umiltà. Mi è mancato il tempo, mi è mancata l'umiltà, la forza, mi è mancata una vera meta. La Calabria sarà la prossima.

6  RITORNO A CASA


Torno indietro, rifaccio le gallerie, il ponte ardito sul profondo canyon. Prendo la statale 585 e poi la  104 per Sapri. La discesa è la picchiata di un rapace verso il Tirreno e il Golfo di Policastro. Vado verso  Maratea. La costa è bellissima la strada costiera è solitaria. Continue salite e discese aprono decine di scorci di macchia verde di calcari chiari e di oceano blu-azzurro sotto un cielo perlaceo. Il sito “Apprezzami l'Asino” è l'ultima immagine di questo viaggio. La mia Guida Rossa del TCI Basilicata Calabria del 1980 cita...
“In un punto, prima della costruzione della strada, la mulattiera diveniva così stretta da non permettere il passaggio contemporaneo di due animali da soma. Si vuole che fosse necessario spingere nel precipizio una delle due cavalcature, dopo che il proprietario dell'altra, valutata la bestia da sopprimere, avesse risarcito il viandante danneggiato”.
Potrei percorrere la Calabria per la strada costiera fino a Scalea, Paola e oltre. Decido di no sapendo poi di pentirmi della decisione come Fernando Pessoa. Salgo sul regionale per Sapri. Sul regionale per Napoli ho problemi, con tanto di lanci di oggetti e maledizioni,  con una mamma e una figlia a cui, secondo loro, non avevo dato abbastanza denaro. Sul regionale Da Napoli Centrale  a Roma  Termini, delle 6,38 del mattino successivo, i miei compagni di viaggio più vicini, padre, madre e figlio adolescente cercano il capo treno. Conoscono Nonsochi e non hanno il biglietto. Nonsochi è il loro titolo di viaggio. Al capo treno va bene così. Il biglietto sarebbe costato 11,20 euro a testa. Un totale di 33,60 euro. L'ultimo treno, il regionale Roma Termini-Ancona è pieno come un uovo, scendo a Chiaravalle e sono a casa.

Alcune foto al seguente collegamento

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