Vecchie ferrovie, Longobardi e Sibille

Vecchie ferrovie, Longobardi e Sibille.

Dall'Umbria all'Adriatico passando per Foligno, Bevagna, Spoleto, Norcia, i Monti Sibillini e Ascoli Piceno.

 

 

Questo piccolo cicloviaggio è nato da un'idea di Aldo e si è sviluppato in seno alla sparuta sezione “della Marcha” de Il Cicloviaggiatore con la mia adesione e quella del “giovin novizio” Marco.

Il preambolo è doveroso allo scopo di mettere in guardia i lettori (saranno almeno due?), sulla mia indole di cacciator di iperboli e sul serio pericolo che io stesso non riconosca il limite tra i fatti, la finzione “letteraria” e la malata fantasia che genera bizzarre realtà sublimate dai vacui vapori dei miei interessi.

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1 Da Foligno (PG) a Spoleto (PG)

Km 60

Dislivello + 400 m

L’inizio singolare nel cuore dell’Umbria medievalmente violenta mi fa tornare nel ducato Longobardo di Spoleto a quidrigildo e ordalie. Nel corso pedonale di Foligno incappiamo subito in assembramento di gente con gran profusione di carabinieri e polizia e al centro della scena un uomo insanguinato vittima di un agguato all'arma bianca.

Cerchiamo una partenza più estetica a Bevagna ma uscire da Foligno per me è sempre un’impresa, titanica, è la terza o quarta volta che sbaglio la via acciottolata e il ponte per attraversare il Topino che la borda a nord, trovo infine il nuovo ospedale e la vecchia statale per Montefalco. A Bevagna non c’è più il fabbro a forgiare spade sulla via, come qualche anno fa, ma tranquilli turisti del nord Italia con reflex e calzoni corti e improbabili maliarde, forse del nord Europa, con vestiti lunghi e generosissime scollature che frusciano lievi sopra la meravigliosa piazza Silvestri. Oltre le mura il ponte sullo specchio del lavatoio e l'argine del Teverone con buonissima pista ciclabile che conduce fino a Spoleto. Ma venne presto l’ora del pranzo e cerchiamo il ristorante pensato da Marco a Campello sul Clitunno. Lo troviamo dopo elaborati circuiti e telefonate e indicazioni dell’uomo, un tantino stronato, seduto all’ombra nel distributore di benzina:

“ Sì è lì vicino, è di un amico mio, oggi è giovedì è aperto!”

Ma, l’informatore del benzinaio si rivela più stronato di quello che appariva: Quale amico? Quale giovedì? Quale aperto? Il sito è tragicamente chiuso, è chiuso anche quello vicino, ci arrangiamo comunque alla grande presso l’Enobottega Vincanta oltre che a vino e a chiacchiere, a salumi, a frittatine e a grandi grattate di tartufo. Il maestro del locale, poi ci chiede:

“Da dove venite, con le biciclette così cariche?”

Io un poco in falsetto e tutto d’un fiato quasi a vergognarmi della cosa:

“Da Foligno e andiamo a Spoleto!”

E lui:

“Me volete pija pel culo?”

Ritorniamo alla pista ciclabile nel caldo pomeriggio fino alla capital de lo Ducato e ci attendiamo al camping Monteluco, un tantino dimesso e passato ma comunque accogliente.

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2 Da Spoleto (PG) a Norcia (PG)

Km 64

Dislivello + 1200 metri

 

Il doveroso omaggio alla Longobardia Minor de la Media terra Italica fallisce dentro la farsa televisiva. Arriviamo nella piazza del duomo, appoggio la bici ad un edificio sul lato nord e subito un ragazzone con una improbabile divisa da militare misto mi fa con affabilità:

“Ciao. La lasci lì?”

Non faccio in tempo né a rispondere né a fare la faccia sorpresa che continua:

“Non puoi! Potrebbe entrare nelle riprese, bisogna che la sposti laggiù dietro i bidoni dei rifiuti”

Questa volta riesco a fare la faccia da matto e a rispondere:

“Riprese, che riprese?”

E lui:

“Stiamo girando un episodio di Don Matteo.”

Mi inchino al potere della televisione e nascondo la bici, Marco mi raggiunge e si adegua, chiamo Aldo che in mezzo alla piazza non aveva capito ancora nulla. Intanto Don Matteo in persona e tonaca nera gira con un Ape Piaggio con il motore imballato su una marcia troppo bassa, alcuni finti carabinieri stanno seduti malamente sulle scale della finta caserma dei Carabinieri, tra loro e la facciata del duomo si muove lenta un'Alfa Romeo dei Carabinieri, troppo lontana per vedere se vera o falsa. Il nostro guardiano ci racconta che è in atto una specie di guerra tra le piccole città dell'Umbria per prendersi il Don Matteo.

“Gubbio ci ha mangiato per troppi anni. Ora tocca a noi. Spello si era messo in mezzo ma è un borgo troppo piccolo, hanno avuto delle scene anche Assisi, Bevagna, Fossato di Vico, Narni, Umbertide, Foligno e Orvieto. Ora tocca a noi di Spoleto.”

Gli dico:

“E il prossimo dove si farà? Manca Todi! Quelli di Todi non hanno detto nulla o sono contrari alla televisione?”

Non possiamo proseguire che uno della produzione ci raggiunge e ci sanziona definitivamente, le biciclette non vanno bene nemmeno dietro i bidoni dei rifiuti. Ce ne andiamo con un senso di liberazione giù in discesa tra vicoli e scalinate alla ricerca della vecchia ferrovia per Norcia. Il percorso promette una costante salita del 4,5 % tra prati e ombrosi boschi, con viadotti e gallerie fino al valico che si passa con una galleria di circa due chilometri e poi giù in discesa fino a Santa Anatolia di Narco con percorsi elicoidali all'aperto e in galleria. Ma il fondo è di un breccione troppo soffice, le mie ruote da 35 mm sprofondano, e l'andare è lento e faticoso, le gallerie non sarebbero un problema se si potessero percorrere ad una velocità tale che la dinamo facesse energia sufficiente. Dentro la galleria del valico il buio è totale, è freddo, piove dalla volta, il mio invincibile faro Supernova E3 triple da 640 lumen è inerme, la mia lampada frontale non è adeguata, non percepisco più lo spazio che mi circonda; vado comunque avanti fino a che cado con gran clangore e sbatto la spalla e la testa sul muro di sinistra con sensibile e temibile scricchiolio di ossa. Mi rialzo e mi accorgo che a scricchiolare era la povera lampada frontale (comunque ne dovevo prendere un'altra). Dopo la sosta a strangozzi e tartufo a Sant'Anatolia di Narco, la vecchia ferrovia costeggia la Strada Statale per Visso ma dopo la seconda interruzione per frana o per invasione di tortore e galline, ci viene a noia e la abbandoniamo per il liscio asfalto e per la compagnia dei consueti camion, auto e moto. Non c’è più storia fino al varco della porta Romana nelle mura di Norcia. Mi ricordavo una città immota sulle sue reliquie, ben salda nella sua ferrea preticità, invasa da centinaia di sentinelle del Vero e da pellegrini penitenti, invece ci viene addosso un vento profano, leggero, sensuale e vagamente peccaminoso di decine e decine di giovani e cristalline pallavoliste in pantaloni corti. La sera poi la città scoppia letteralmente della grassa opulenza che gira attorno al cibo, al maiale e appunto alle norcinerie con i loro mirabolanti prodotti.

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3 Da Norcia a Balzo di Montegallo

Km 53

Dislivello + 1500 metri

 

Oggi dobbiamo affrontare la madre di tutte le salite, sono venti chilometri ad una pendenza di circa il 6 % fino ad arrivare al colletto prima della discesa dentro il Pian Grande di Castelluccio. Il giovin Marco piè veloce va avanti, noi della retroguardia arriviamo ore ed ore dopo. La salita è lunga e monotona, una lunga zeta tracciata in quell'arido versante dei Sibillini, ma sotto ad ovest si apre il luminoso piano di Santa Scolastica. Ciclisti da corsa ci sorpassano, chi con sufficienza, chi con curiosità, chi con simpatia proprio nel senso di patire con noi. Uno di loro, guardando la mia bicicletta, esageratamente bardata di sei borse e con dentro anche l’inutile primus omnifuel, in tutto lo splendore dei suoi trentatré chilogrammi, pensa ad alta voce:

“E no’ guardamo li grammi…”

L'arrivo al colletto ventoso è comunque una festa. Il luogo è una notevole finestra sul Vasto Mondo. Sotto si spalanca il Pian Grande ed oltre, la mole del monte Vettore ancora screziata da canaloni di neve. Tuttavia la cosa migliore rimane la presenza di un furgone e del suo gruppo elettrogeno a scoppio che ci fornisce un grassissimo pranzo a pane e porchetta. Il Pian Grande è affollato di motociclisti rumorosi e da gran gente alla disperata ricerca della “fioritura della lenticchia” che quest'anno è in gran ritardo. I prati sono solo e ostinatamente verdi ma torme di cavalletti a reflex inastate corrono dietro e tormentano fugaci e arditi e precoci fiori colorati. L'immagine di quel povero fiore colorato inerme a bersaglio di grandi obbiettivi neri e lucenti, tenuti in mano da uomini senza volto, mi ricorda il contadino spagnolo in camicia bianca fucilato dai soldati di Napoleone nel 1808 a Madrid al centro del quadro di Goya al Prado. Via, via in bicicletta ancora in salita fino alla Forca di Presta, il punto più alto del percorso a 1550 metri. Si va su e intanto si accumulano veloci nuvole e cadranno trecento gocce che mi sporcano gli occhiali e mi fanno mettere e togliere in nervosa successione la giacca impermeabile. Al passo è tutto finito. La mia discesa è per me velocissima ma mai come quella di Marco e Aldo che si preoccupano pure del mio ritardo. Il versante orientale dei Sibillini è più bello, ci sono prima boschi di conifere e poi faggi, e oltre il massiccio arenaceo della Laga, ricco di acqua, boscato e multiforme. Il percorso è interessante e vario con ponti su corsi d'acqua, curve e scorci gratificanti sulla sottostante valle del Tronto ed oltre. Dopo una leggera contropendenza e alcuni piccoli nuclei abitati arriviamo a Balzo, capoluogo pagano e cristiano del molteplice comune di Montegallo, alla fine di una festa di matrimonio e all'inizio della festa del solstizio. Il campeggio Vettore ci accoglie alla grande, è ben tenuto, lindo e pinto e frequentato anche da inglesi e olandesi.

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4 Da Balzo di Montegallo (AP) a Porto d’Ascoli (AP)

Km 62

Dislivello + 200 metri

 

La mattina è fresca e solitaria, in paese non c'è quasi nessuno, il percorso è praticamente tutto in discesa fino ad Ascoli Piceno, i centri abitati si susseguono veloci e senza memoria: Uscerno, Roccafluvione, Mozzano. Cadono le solite trecento gocce di pioggia, ma questa volta non mi faccio fregare. Arriviamo fino ad Ascoli e ci piazziamo sotto i portici ai tavoli del caffè più famoso della piazza del Popolo, nel salotto buono al quadrato di tutta la città. É domenica mattina e siamo in buonissima compagnia di eleganti signori ed eleganti coppie che, come noi, non hanno nulla da fare e lo facciamo tutti con serietà e devozione per gran lasso di tempo. La piazza è un gioiello sociale dove il potere sacro, il potere civile e il potere commerciale sono rappresentati e nessuno soverchia gli altri, è il centro di incontro di tutta la città e del territorio piceno. La piazza è un gioiello architettonico di travertino e laterizio con il Palazzo dei Capitani del Popolo e i palazzetti merlati a porticati e terrazze fiorite e l'immensa chiesa di San Francesco. Il viaggio finisce qui in questo singolarissimo e di altissimo valore sociale, artistico e affettivo punto di arrivo.

Il resto è ritorno a casa dopo il pranzo in un ristorante pensato da Marco (Sì, è lui il nostro maestro dei ristoranti) e il viaggio in treno. Ma ahi noi! Il ristorante è chiuso. Anche questo! In treno non caricano le biciclette. Siamo costretti a scendere per la strada Consolare IV Salaria fino all'Adrio Mar in un percorso torrido e senza metafisica. A Porto d'Ascoli arriviamo tardi per il treno con il pittogramma delle bici delle ore xx,xx. Arriva tardi anche lui ma non abbastanza tardi e non ci evita una concitata e immane fatica a trasportare le bici pesantissime su e giù per i sottopassaggi e a sfuggire agli sguardi divertiti e carogna degli altri viaggiatori.

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